La cometa di Shabaka Hutchings
The Comet Is Coming è uno dei progetti di Shabaka Hutchings, re del nu jazz britannico: il nuovo album Trust in the Lifeforce of the Deep Mystery
Uno dei progetti dell’inarrestabile Shabaka Hutchings – The Comet Is Coming – ha realizzato il seguito del precedente Channel the Spirit ed è un’esplosione cosmica di suoni e colori, tra John e Alice Coltrane, Sun Ra, Mulatu Astatke, i Can ed electronica.
A Shabaka Hutchings l’etichetta “jazz” va decisamente stretta: nato a Londra trentacinque anni fa, ha trascorso il periodo dell’adolescenza a Barbados, l’isola caraibica da cui proviene la sua famiglia. Già a nove anni inizia a suonare il clarinetto, esercitandosi sulle rime di Nas e di Tupac e rimanendo influenzato dai ritmi del calypso, quelli del Grand Kadooment Day, l’ultimo giorno del Crop Over Festival, la celebrazione della fine della stagione della canna da zucchero.
Tornato a Londra per frequentare una scuola di musica, Shabaka si avvicina al sax e scopre i ritmi dell’acid house e del drum’n’bass, collabora con Floating Points, Heliocentrics, Sun Ra Arkestra, Mulatu Astatke, e partecipa a tre progetti paralleli: Sons Of Kemet, con cui realizza Burn nel 2012, Lest we Forget what we Came here to Do nel 2016 e l’eccellente Your Queen Is a Reptile lo scorso anno, Shabaka and the Ancestors, con cui dà alle stampe Wisdom of Elders nel 2016, e per l’appunto The Comet Is Coming, un trio che oltre a lui, ribattezzato per l’occasione King Shabaka, comprende il tastierista Dan Leavers (Danalogue) e il batterista Max Hallett (Betamax) e che nel 2016 pubblica il già citato Channel the Spirit (che è valso al gruppo la candidatura per il Mercury Prize) e pochi giorni fa Trust in the Lifeforce of the Deep Mistery, quest’ultimo per l’etichetta Impulse! Records – sì, proprio quella di John e Alice Coltrane.
«The Comet Is Coming è qui per distruggere illusioni e svelare nuove realtà» – dall’account Twitter del gruppo
Psichedelia, electronica guidata da un synth spavaldo alla Flying Lotus, cosmic jazz – meno marcato che in passato ma ancora presente nei fraseggi e nell’immaginario di Hutchings: questo è il torrido mix che esce dai solchi di questo lavoro.
Che è un album concepito con stile classico, nel senso che non c’è stacco fra i nove brani; è comunque possibile identificare alcune tracce al di sopra della media, peraltro elevata, di questo disco: "Birth of Creation", in cui Hutchings torna con eleganza all’amato clarinetto su un groove funk con spezie etiopi, l’irresistibile "Summon the Fire", un treno lanciato in piena corsa guidato dal sax impazzito di King Shabaka, la seguente "Blood of the Past", con un riff hard rock e il sax memore di John Coltrane a creare un tappeto calpestato dalla voce della poetessa Kate Tempest («Non c’è nulla da mangiare se non il progresso»), la rilassata e ottimistica "Unity", "Super Zodiac" e "Timewave Zero", due episodi che ci danno modo di apprezzare la tecnica e l’energia di Shabaka Hutchings, l’asse portante del rinascimento del jazz britannico, quello che sta contagiando la generazione dei raver londinesi e berlinesi.
Al termine del disco (stavo per scrivere “viaggio”) ci si rende conto che la mente ha vagato placidamente in un’altra dimensione ma i piedi, nel frattempo, sono stati ben piantati sulla terra, anzi l’hanno percossa dal primo all’ultimo minuto.
La cometa non sta arrivando, è già arrivata, basta solo accorgersene.
P.S. Già che ci siamo, segnalo e consiglio Fyah, l’album di Theon Cross, tuba player coi Sons Of Kemet, uscito un paio di mesi fa.
«Immaginate una cultura che si regga su una relazione più spirituale con la terra e con gli amanti… Incapaci di ascoltare, continuiamo a parlare… Incapaci di accorgerci di noi stessi, incapaci di fermarci e non disposti a imparare». Blood of the Past