Jamie Saft acustico ed eclettico
Due dischi del pianista americano, tra jazz "classico" e riletture del songbook americano, da "Naima" agli ZZ Top
Un tuffo nelle uscite più recenti di Jamie Saft rivela conferme e sorprese (la differenza la può fare in parte la familiarità che si ha con le tante sfaccettature del lavoro del barbuto pianista americano).
Conosciuto dalle nostre parti prevalentemente per la sua militanza in alcuni progetti di John Zorn e per la sua capacità di lavorare con i suoni elettrici e con pratiche molto differenti tra loro, Saft è in realtà artista che da tempo offre una originale sintesi del linguaggio jazz più tradizionale, come accade nel nuovo lavoro in quartetto, Blue Dream.
La formazione è un classico quartetto acustico, con il sax tenore e la ritmica: con Saft ci sono Bill McHenry (tenorista dal timbro caldo e duttile), Brad Jones al contrabbasso e Nasheet Waits alla batteria, tutti musicisti che hanno personalità sufficiente per rielaborare idee nuove e stimoli dal passato.
A una serie di ottimi temi di Saft, che consentono all’organico di spaziare dalla robustezza del suono sixties (“Vessels”) a lande più aperte, ma anche di fluttuare sopra un velo accordale, di muoversi come braci danzanti (ma che bella “Mysterious Arrangements”!) o di swingare con un piglio neo-hardbop (confrontate le adiacenti “Walls” e “Decamping” ad esempio), si aggiungono tre felici riletture di standard. “Violet For Your Furs” si insinua come una pantera di velluto nella notte fonda, “Sweet Lorraine” è coperta di ironia e paillettes, la conclusiva “There’s a Lull In My Life” un capolavoro di nitore estetico.
Lontanissimo dal birignao ginnico del mainstream più ottuso e falsamente ortodosso, così come dalla sisifea fatica di cercare un “nuovo” a tutti i costi, Saft mette ancora una volta la propria straordinaria intelligenza musicale a servizio del fecondo scarto tra tradizione e contemporaneità, luogo privilegiato non tanto di un darwinismo un po’ trendy, quanto di una possibilità di rinnovamento artistico e emozionale. Disco bellissimo.
Vale la pena mantenere parte del mood e riprendere – è uscito lo scorso gennaio – anche il disco in solo del pianista, Solo a Genova, registrato al Teatro Carlo Felice nel marzo del 2017.
Flusso di coscienza e juke-box dell’anima, la scaletta parte da Curtis Mayfield (preziosa e mai eccessiva la resa di “The Makings of You”) e arriva all’amato Bob Dylan. In mezzo ci sono gli Human League e “Naima”, gli ZZ Top e Charles Ives, “Blue In Green”, un paio di originali, Stevie Wonder e Joni Mitchell…
Pasticcio in vista? Tutt’altro. Perché, come nel caso del quartetto, Saft filtra gli eterogenei materiali con una sensibilità unica, che lo tiene da un lato al riparo da eccessi e gigionerie, dall’altro non gli impedisce di fare risuonare, quando serve, la gioia o la malinconia di una melodia. Tutto da godere anche questo!