Il dialogo spirituale di Keith e Julie Tippett
Un disco postumo del duo Couple In Spirit propone la sovraincisione della voce di Julie su alcune performance soliste inedite del marito
La scomparsa di Keith Tippett, nel giugno del 2020, ha lasciato un segno di profonda malinconia nel tessuto vivo della scena creativa europea. Oltre al dolore per la perdita umana, si è avuta infatti subito la sensazione che fosse venuto a mancare un pianista e compositore ancora in grado di esprimere, con la sua pratica mai esausta di ricerca di una performatività sonora sincera e originale, il senso più vitale dell’improvvisazione.
Nel vasto corpus della creatività di Tippett, il duo con la moglie Julie ha rappresentato sempre una sorta di porto, da un lato sicuro, protetto da affetto e intima cura, dall’altro aperto alla navigazione più curiosa, punto da cui far partire missioni verso terre sonore ignote. E chi ha conosciuto personalmente - io ho avuto per anni questo privilegio - la coppia, sa bene quanto quella sintonia umana e artistica fosse un imprescindibile condizione di esistenza musicale attraverso l’umanità. Couple in Spirit, come il nome del duo.
Ben consapevole di tutto questo scenario contestuale, non nascondo di avere provato un brivido gelato quando dal pacchetto postale è uscito questo disco del duo, che nasce postumo dalla sovraincisione della voce di Julie su alcune performance soliste inedite del marito. L’idea del duetto col defunto non è certo una novità e solitamente mi respinge, e l’idea che i protagonisti di questa comunicazione medianica fossero Julie e Keith mi inquietava e incuriosiva ulteriormente al tempo stesso.
Ho provato un brivido perché temevo che, sull’onda emotiva della scomparsa di Tippett, l’esito potesse essere in qualche modo poco a fuoco o, peggio, non necessario. Non è così. La lucidità e al tempo stesso il coinvolgimento con cui Julie Tippetts entra in dialogo con queste tracce - che non erano state immaginate per il duo - sono di una bellezza ancora una volta sorprendente. Il clima, a volte magico, altre più carnale, dell’interazione è costantemente teso a una “verità” che sembra travalicare i limiti - stordenti - della perdita.
Come novelli Orfeo e Euridice che si siano scambiati di ruolo, i due - che si erano non a caso scelti come coppia nello spirito - trovano nel risuonare profondo e anche pudico degli otto episodi che compongono il disco un’unità espressiva commovente e necessaria, che recupera anche la soulfulness giovanile della cantante accanto al più maturo soundsinging.
Ascoltatelo senza distrazioni questo disco, dall’inizio sino all’accorato lamento finale della title-track. Atto d’amore e rito di distacco, lacerante e pacificatorio senza che questi elementi siano contraddittori. Immaginateli danzare ancora insieme sul cuore dell’invenzione, Keith e Julie, immaginate Julie/Orfeo che col suo canto riporta il pianismo/mondo del marito in mezzo ai mortali, ma poi non può evitare di incrociare ancora una volta quello sguardo e deve lasciarlo definitivamente andare.
Temevo non avrei amato questo disco. Avrei dovuto invece temere la commozione, che forse mi impedirà di ascoltarlo troppe volte in modo leggero e ripetuto, ma che non mi impedisce di suggerirlo come esempio di abbacinante, ancorché malinconica, bellezza creativa.