Frank Martino: caos, elettronica e swing
Secondo disco per Auand per il chitarrista Frank Martino, questa volta in trio con Claudio Vignali e Niccolò Romanin
Una chitarra che suona come un cucù elettronico, poi un rhodes sghembo e minimale, un loop poliritmico, una batteria suonata con un’intenzione da groove hip hop, un clima onirico, vagamente psichedelico, che poi vira verso un jazz rock corrusco. Così si approccia al secondo livello Frank Martino, in questo secondo disco a proprio nome per Auand, dopo Revert del 2016.
Se là la formazione era un quartetto, qui invece protagonista è un trio, ancora con Claudio Vignali a piano, fender rhodes e synth e questa volta Niccolò Romanin alla batteria, alla drum machine e ancora ai synth. Non c’è basso, come nei classici organ trio del jazz, il cui approccio viene qui rivisto secondo un’ottica contemporanea, con ammiccamenti alla musica elettronica (la buona cover di "Magnificent Stumble v2" di Venetian Snares è emblematica, e rivelatori dell’attitudine aperta del trio sono anche certi andamenti distesi e aperti, oltre alla scelte timbriche) che suonano assolutamente funzionali alla riuscita complessiva del lavoro. "See Double" potrebbe essere un pezzo dei Massive Attack o dei Lamb dei tempi migliori, il discorso si sviluppa in un modo simile. Si procede per linee orizzontali, per accumulo, idee semplici, efficaci, cantabili, mai banali, il pezzo finisce all’improvviso per sfociare in modo del tutto naturale nei fiordi melodici di "Cycle", attraversati da benvenute interferenze di voci distanti, per poi mutare in altro da sé nella seconda parte del pezzo, e poi tornare all’origine, con chiarezza di idee, equilibrio dinamico e compositivo ed economia dei mezzi.
Convince meno invece l’esperimento di "Psychosamba", una sorta di crasi tra armonie brasiliane e ritmiche elettroacustiche, dove però pare latitare una idea portante forte. Nemmeno "Bad Tips" e "The Glass Half", tra energiche incursioni di chitarra e un clima più delicato, colpiscono più di tanto, mentre risultano più interessanti i ritmi drum’n’bass di "The War of Art" (se solo avessero spinto di più sul pedale ambient...) e la rielaborazione personale di "Waltz for Debbie" di Bill Evans, che soprattutto sul finale si perde in un felice labirinto di feedback e rifrazioni.
L’impressione finale è quella di un disco al quale in certi frangenti difetta un po’ di coraggio, quasi i musicisti coinvolti avessero timore di mollare gli ormeggi che li tengono ancorati a porti sicuri: peccato, perché nei momenti in cui questo accade, le cose vanno bene, a volte anche benissimo. Non poche le consonanze con quanto di recente ascoltato dai loro colleghi di etichetta Hobby Horse: un ibrido tra jazz, elettronica e rock che in questo caso però avrebbe bisogno di un po’ meno di schemi per poter librarsi perfettamente in volo.
Lo swing al trio di Frank Martino non difetta affatto, ma il caos fertile è ancora troppo poco e le buone maniere a volte eccessive. Speriamo che al prossimo giro la musica sia meno educata, i mezzi per stupire e centrare perfettamente il bersaglio ci sono tutti.