Federica Michisanti sui sentieri della melodia

Silent Rides è il disco dello Horn Trio di Federica Michisanti, con Francesco Bigoni e Francesco Lento

Federica Michisanti Horn Trio
Federica Michisanti
Disco
jazz
Federica Michisanti Horn Trio
Silent Rides, Filibusta Records
Filibusta Records
2018

Una febbre lieve, schermaglie tra le voci dei fiati e poi una fuga a piedi nudi, lungo le strade della città nuda, sulla cadenza di uno swing implacabile ed aereo alla Mingus. Promette bene "Morning Sewing", la traccia di apertura di Silent Rides, il nuovo disco di Federica Michisanti, fresca vincitrice del Top Jazz come miglior nuovo talento del 2018 (l'abbiamo intervistata QUI).

Le promesse udite nell’incipit però non sempre sono mantenute a pieno, dal mio punto di ascolto. A questa penna felice, infatti (i pezzi sono tutti della Michisanti), abile nello scrivere temi a più voci che si intrecciano come un rampicante sui muri dei pezzi, manca a volte il coraggio di rischiare e di tentare l’inaudito. Come nei dischi precedenti, la scelta (felice) è quella di non avvalersi della batteria: in questo modo le composizioni assumono un peculiare nitore cameristico e respirano; c’è spazio, in questa suite per contrabbasso e due strumenti a fiato (Francesco Bigoni a sax tenore e clarinetto e Francesco Lento a tromba e flicorno), c’è un riuscito equilibrio tra pause, temi, discorsi e silenzi anche se talvolta si avverte una pericolosa tendenza a soluzioni troppo concilianti ed accoglienti.

Con la batteria a scandire la pulsazione forse "Courtyard" sarebbe suonata un po’ risaputa, così invece è una miniatura tra classica novecentesca (certi intrecci tra il contrabbasso suonato con l’archetto, la tromba e il tenore sembrano quasi dei madrigali di Bach o serbano in sé comunque l’inesorabile delicatezza di un canone). Se "Whistling" potrebbe essere un’ottima colonna sonora per un film di Otto Preminger, allusiva prima ed ellingtoniana poi, "The Car" invece, guidata dalla tromba di Lento (ascoltato di recente anche nel nuovo disco di Francesco Diodati), prima viaggia lontano, poi si ferma sul bordo di uno strapiombo.

Lirica (l’ispirato solo di contrabbasso in apertura della lunga "Your Books", che poi fiorisce in una elegia da emisfero boreale e lunghi addii, poi finalmente capace di deviare verso lande inospitali, scabre e bellissime), languida eppure sobria, perfetta come nenia ("When I Wanted to Count Stars", con il clarinetto a tenere banco) o per un risveglio in un mondo ospitale, la musica di Federica Michisanti è un mare calmo solcato da melodie scritte con bella calligrafia.

Non so perché ma mi vengono in mente le ultime drammatiche vicende sui migranti affogati in Silent Rides, dove le onde si increspano a metà del pezzo, per poi lasciare spazio di nuovo ad una bonaccia estatica e non stanca né statica. C’è salvezza, nella lingua di questa musicista, forse però ancora troppa poca tempesta. Il disco (per inciso racchiuso in una copertina quanto meno rivedibile) si chiude con la reprise del tema iniziale, come a chiudere un cerchio, un abbraccio, un nido in cui rifugiarsi mentre fuori imperversano gli schiamazzi. Trenta secondi abbondanti di silenzio all’inizio di un pezzo, dopo aver esposto il tema sono una scelta coraggiosa, che però ripaga all’ascolto: contrappunti, voci che si sovrappongono come in uno shangai dove ogni strumento è capace di sfilarsi delicatamente, ombre di Archie Shepp, un drive tutto mentale, una leggerezza calviniana.

Al netto di un gusto e di una penna che prediligono l’aspetto melodico a qualsiasi altro, un lavoro capace comunque di un bell’equilibrio: essere cantabile senza essere risaputo, densa di storia, di memoria senza essere polveroso. Un posto caldo dove stare, queste otto tracce, che confermano un bel talento, abile nel farsi strada senza avere bisogno di gridare, ma non sempre capace di deviare dai sentieri più battuti ed imboccare strade dove l’imprevisto non sia l’eccezione ma la regola.

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