Barre Phillips, meditazioni per contrabbasso

Il nuovo End to End (ECM) sembra riassumere il percorso artistico di uno dei maestri riconosciuti del contrabbasso solo

Barre Phillips, End to End, ECM
Disco
jazz
Barre Phillips
End to End
ECM
2018

Originario di San Francisco, classe 1934, Barre Phillips è uno degli storici promotori e maestri di un’improvvisazione libera e indipendente – intesa come nuova opzione formale – sul contrabbasso, passato alla storia per essere stato il primo a registrare nel 1968 un intero album per solo double bass, pubblicato negli Stati Uniti con il titolo di Journal Violone.

Tra le molte collaborazioni di Phillips si annoverano quelle con musicisti di ricerca del calibro di Eric Dolphy, Jimmy Giuffre, Archie Shepp, Attila Zoller, Derek Bailey, Paul Bley, addirittura (si fa per dire) Dave Holland, con il quale nel 1971, in piena esuberante e infervorata epoca jazz rock (ma anche di ancor più sperimentali e genuini slanci creativi) registra Music From Two Basses, con ogni probabilità la prima registrazione a opera di un duo di contrabbassisti in totale estemporanea improvvisazione.

Dopo alcuni anni a New York, nel 1967 Barre si sposta in Europa. Negli anni settanta formerà con il polifiatista John Surman e il batterista Stu Martin lo storico gruppo The Trio, elegante e idiomatica risposta inglese (o meglio angloamericana) alla riflessiva e introspettiva melodia nordica (ma non solo), e successivamente suonerà regolarmente con l’effervescente London Jazz Composers Orchestra, diretta dal contrabbassista Barry Guy, anch’egli tra i grandi innovatori dello strumento.

Da molto tempo Phillips, pur avendo vissuto significative e determinanti esperienze in terra britannica, vive in Provenza nel costiero Dipartimento del Var, dove ha fondato il Centro europeo per l’improvvisazione (CEPI). Ecco forse spiegato quel sovraesposto calcare bianco affacciato sul mare nella copertina di quest’ultimo End to End, sorta di definitiva chiusura (almeno nelle dichiarate intenzioni) di un particolare discorso espressivo cominciato cinquant’anni fa. Un album registrato nel marzo 2017, che appare come un ulteriore testimoniale lascito (speriamo davvero non finale), senza però (e per fortuna) l’insostenibile peso di una irrimediabile malinconia, nonostante le fatiche di un’età ormai avanzata. A predominare, infatti, sembra essere ancora uno sguardo curioso, propositivo e incantato, intriso di serietà e rigore – certo – ma anche di vitale e nutriente leggerezza.

End to End è in tre sezioni, che aiutano a compiere un preciso (forse fin troppo lineare) euristico percorso sonoro (sostanziato al suo interno anche da alcuni riconoscibili punti di riferimento melodici), il quale, da quello che potremmo definire un imprescindibile e originario interrogativo primigenio, rappresentato dall’idea della ricerca ("Quest"), fatta di ascolto, osservazione, estatica e inesauribile contemplazione, procede verso un più profondo, interiore e meditativo stato della conoscenza ("Inner Door"), per poi tornare a guardare il mondo esterno attraverso una nuova acquisita e prismatica consapevolezza ("Outer Window").

La musica, riportata alla sua elementale essenza, definitivamente svincolata da ogni forma di recinzione e stilistica declinazione (anche se solo in apparenza), e qui veicolata dalla “voce” rotonda, morbida, rilassante e avvolgente del cameristico contrabbasso di Phillips (a proprio agio sia nell’uso del “pizzicato” che dell’archetto, utilizzato anche come percussore e per altro di chiara, non trascurabile, impronta chicagoana), non può che essere in primis puro suono, sfrangiata onda cosmica, scaturigine primaria, scintilla originaria forgiata dalle più alte sfere, gioco di ombre e luci, vuoti e pieni, taciti spazi e risonanti intonazioni, alternanza di silenzi e “rumori”, cosmo sonico (almeno in questo caso) ricavato dal nulla caotico (oppure no).

Da non perdere.

 

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