Antonio Raia, i dettagli del sax in solo
Bel disco solitario per il sassofonista napoletano Antonio Raia: Asylum esce per Clean Feed
Le traiettorie del sassofono solitario tracciano spesso delle linee di grande incisività espressiva. La necessità di una poetica del suono chiara e riconoscibile, così come di strategie compositive/improvvisative che strutturino quella che, a conti fatti, potrebbe essere una ricerca potenzialmente infinita, sono la chiave per esplorare in modo convincente lo strumento.
Esempi non è difficile trovarne: da Steve Lacy a Colin Stetson, passando per Evan Parker e molti altri (anche in Italia, pensiamo a un Gianni Gebbia, al Dimitri Grechi Espinoza più mistico o a un Marco Colonna, solo per dirne alcuni), il segno del sassofono da solo è al tempo stesso sfida e opportunità, conturbante confronto con se stessi e iridescente pratica di grafia sonora.
Si confronta in modo originale con questo anche il napoletano Antonio Raia, che ha registrato Asylum (Clean Feed) negli spazi vuoti del refettorio dell’ex Asilo Filangieri di Napoli, coadiuvato da Renato Fiorito per il posizionamento dei microfoni.
Disco di soli 31 minuti, ma sufficientemente denso di cose, a partire dal soffio quasi marino che immette subito in una versione frammentata e vibrante del classico “Torna a Surriento”. Lo stesso suono viscerale ma controllato, da Pharoah Sanders garbato, disegna le semplici volute di “Refugees”, ma man mano che le composizioni si dispiegano all’ascolto emerge anche un lirismo più apollineo, cui non servono riverberi eccessivi per rimandare a una intima spiritualità.
Si susseguono poi il soffio (“There Is The Wind Among the Rocks”), il peso del silenzio tra le frasi (“Dicitencello Vuje”), la fisicità pneumatica di “The Sound of Voices”, la presenza del fischio umano che introduce “Fire On Heart”, la screziata metallicità – uno dei pochi rimandi precisi, insieme a una turbolenta “Misty”, al lessico dell’improvvisazione europea – di “Follow the Trail”.
Le tre tracce conclusive disegnano un contorno coerente e poeticamente efficace, insistendo su pochi materiali intensissimi (“The Children In The Yard”) o su un vagare quasi incantatorio (“To Giulia”), per poi lasciare al magico dondolio di “Lullaby” il piacere di ricondurre tutto verso il silenzio.
In epoca di sovrabbondanza di segni, la parsimonia espressiva di Raia è una strategia che torna tutta a favore dello strumentista e della leggibilità della sua onestà (piuttosto imprescindibile quando si tratta di pratica solista): emergono dettagli, emotività, attenzione allo spazio. Disco molto bello.