L’XYQuartet guidato dal sassofonista Nicola Fazzini e dal bassista Alessandro Fedrigo pubblica il suo nuovo disco, Orbite, che esce proprio oggi, il 12 aprile per l’etichetta nusica.org.
Riportare qui la data non è una pignoleria, dal momento che è quella che celebra (grazie all’UNESCO) la Giornata internazionale del volo dell’uomo nello spazio, nel giorno in cui – correva l’anno 1961 - il cosmonauta Yuri Gagarin diventava il primo uomo ad entrare in orbita attorno alla Terra.
Il disco è infatti un vero e proprio concept album composto da otto composizioni originali dedicate a quegli uomini e donne che hanno per primi esplorato lo spazio con le proprie storie epiche, drammatiche o addirittura tragiche e controverse. I titoli non lasciano spazio a dubbi e richiamano i nomi di John Glenn e Valentina Tereshkova, dello stesso Gagarin, di Titov e di Vladimir Komarov, per dirne alcuni.
Come nei precedenti lavori la musica del quartetto (completato da Saverio Tasca al vibrafono e Luca Colussi alla batteria) è un’originale e lucida miscela delle molte traiettorie del jazz di oggi, muovendosi con architetture meticolosamente pensate e una grande cura del dettaglio, come ci spiegano Fazzini e Fedrigo in questa chiacchierata.
Partirei dall’argomento del nuovo disco, Orbite (che si può ascoltare interamente sul sito di nusica.org). Il disco esce in una data simbolica, quella del primo uomo in orbita, Gagarin, e ogni brano è dedicato a figure di astronauti e cosmonauti. Come nasce questa idea?
ALESSANDRO FEDRIGO: «Sono sempre stato affascinato dallo spazio e ho sempre cercato di immaginare una musica che potesse essere suonata sulle astronavi. Una musica che sintetizzasse le tendenze più interessanti e rivolte al futuro del jazz terrestre senza ricorrere a tributi, a linguaggi etnici o a soluzioni idiomatiche. Quando ho scritto il primo brano intitolandolo "Gagarin" e Nicola mi ha proposto di realizzare un concept album sul tema dei primi astronauti, pionieri dell'esplorazione dello spazio. Attorno a questa suggestione è nato Orbite».
Mi colpisce – ma forse non troppo – che un tema come quello “spaziale”, così attuale e presente nell’immaginario dei jazzisti (penso a tutti quei linguaggi legati agli aspetti “cosmici” o afrofuturisti, da Sun Ra a una certa elettronica), sia stato da voi declinato attraverso figure comunque umane, “tecniche”. Qualche riflessione su questo aspetto?
NICOLA FAZZINI: «Con questo lavoro non ci siamo ispirati a precedenti musicali sul tema. Oltre all'elemento spaziale sono importanti per noi le storie di questi astronauti. Questo è se vuoi l’elemento “umanizzante” in più, quello che rende questo cd un po’ più terrestre. Fin dal primo ascolto in studio abbiamo percepito questo nuovo lavoro come meno spigoloso, angolare e astratto del precedente disco XY, ascoltandolo in macchina appena uscito dallo studio di registrazione ho avuto l’impressione di essere immerso in un film noir fantascientifico. Inoltre la rincorsa allo conquista dello spazio ha accompagnato l’infanzia e l’adolescenza sia mia che di Alessandro, siamo entrambi classe ’70. Queste storie hanno quindi il sapore di una sorta di futuro-passato».
Venendo alla musica del disco: in che direzione si è evoluto il linguaggio di XY rispetto al precedente, peraltro fortunato, lavoro?
ALESSANDRO FEDRIGO: «Abbiamo ulteriormente sviluppato e maturato il nostro linguaggio continuando la ricerca sui materiali iniziata con Idea F e continuata con XY. Sicuramente in questo cd l'aspetto ritmico è prevalente e la ricerca sulla serialità, sugli insiemi, sui modi esatonici è stata piegata in funzione delle esigenze narrative».
Si percepisce chiaramente nella vostra musica un aspetto geometrico e razionale, legato a esperienze compositive in cui non è mai assente una forte lucidità di pensiero e di condotta improvvisativa. Vogliamo brevemente parlare di questi aspetti e del vostro modo di scrivere per questo organico?
NICOLA FAZZINI: «Abbiamo riflettuto sulla peculiarità e le caratteristiche di questo progetto e ci piace che XY rimanga un quartetto in cui la musica è orchestrata, organizzata e strutturata con cura. Attraverso questi processi compositivi a volte rigorosi siamo costretti a esplorare territori musicali a noi sconosciuti e stimolati a trovare soluzioni nuove ai problemi che la musica ci pone dal punto di vista esecutivo e improvvisativo. Va detto che l’impatto dal vivo di questa band sta migliorando concerto dopo concerto e ovviamente quei materiali che anni fa dovevamo trattare con i guanti stanno diventando per noi sempre più familiari e questo a beneficio dell’interplay, della spontaneità e perché no, di un po’ di imprevedibilità che possiamo inserire in questi percorsi musicali altresì rigorosi».
Parallelamente all’attività con i vostri progetti musicali state lavorando intensamente sul territorio veneto alla costruzione di una rete di attività, con Jazz Area Metropolitana. Il progetto è stato avviato a marzo, quindi è ancora giovane, ma quali indicazioni state traendo da questi primi appuntamenti e quali prospettive si stanno aprendo nei prossimi mesi?
ALESSANDRO FEDRIGO: «Il nostro obiettivo è quello di promuovere il jazz contemporaneo e diffondere il lavoro dei tanti musicisti che immaginano una musica con radici nel presente che guardi al futuro. In questo senso l'organizzazione di concerti e workshop è il nostro contributo per la diffusione di questa musica. Il network Jazz Area Metropolitana è partito molto bene perché incontra anche le esigenze del territorio. Abbiamo riscontrato curiosità e interesse da parte di tanti interlocutori, soprattutto rispetto alla parte più innovativa del lavoro che stiamo facendo sia nelle proposte artistiche che nella scelta di luoghi e modalità di ascolto inconsueti. Il pubblico ha risposto molto bene a questi primi appuntamenti».
Siete nella posizione “privilegiata” (dal punto di vista della riflessione, intendo) di occuparvi anche di direzione artistica e organizzazione: quale, secondo voi, la cosa che i musicisti stentano a capire del lavoro di un direttore artistico e quale, al contrario, quella che i direttori artistici continuano a non capire degli artisti con cui lavorano (o non lavorano)?
NICOLA FAZZINI: «La nostra impressione è che molti artisti sottovalutino il fatto di “suonare bene”, che vuol dire essere un musicista preparato tecnicamente e con proprietà e conoscenza del linguaggio, e quanto sia importante proporre progetti organici, coerenti, strutturati e che destino curiosità in chi li riceve. Non sto parlando del tanto giustamente o ingiustamente vituperato “marketing” che secondo alcuni sta sostituendo proprio questa presunta graduatoria di capacità musicali, quanto del proporre una progettualità artistica, che significa in un certo senso prendere un rischio, una posizione, rinunciare a essere altro da quello che si è o si vorrebbe essere.
Molti direttori artistici per contro non sono aperti alle nuove proposte, giovani e meno giovani che siano. Premesso che sia ovvio che un organizzatore abbia la necessità di avere le sale piene, sia per esigenze di bilancio che di rapporto con chi, privato o pubblico, supporta il festival, credo tuttavia sia importante che le programmazioni possano essere più aperte e varie di quelle che sono attualmente, e mi riferisco sia ai festival più tradizionali che a quelli di avanguardia. La mancanza di risorse e di pubblico non è la causa dei nostri problemi, ma ne è effetto. La causa è altrove, nella perdita di processi sociali e identificativi nel jazz da parte soprattutto dei più giovani, nella scarsa diffusione di questa musica nelle scuole e sui media, eccetera. Insomma dovremmo concepire il nostro lavoro di direttori artistici in modo più ampio, non solo come selezionatori di gruppi e musicisti, ma come promotori di progetti culturali. In questo senso promuovere gruppi giovani e innovativi più radicati nella contemporaneità, scegliendo anche location e situazioni non usuali per il jazz, rompendo anche lo schema del concerto e la barriera pubblico-artista, mette in moto dei processi virtuosi i cui frutti vedremo nel tempo».
Siete sempre stati molto attenti al lavoro dell'associazione dei musicisti jazz, Midj, come vi sembra stia procedendo il lavoro di tutela degli artisti attraverso questo strumento associativo?
NICOLA FAZZINI: «Credo che i membri del direttivo del Midj, e in particolare Ada Montellanico, abbiano fatto un egregio lavoro, stabilendo per la prima volta un dialogo diretto con il Ministero e in generale la politica e questo è un passo fondamentale, una cosa mai accaduta prima d’ora. Altresì sono convinto che per risollevare le sorti del nostro settore sia indispensabile una sinergia anche tra tutti gli altri soggetti coinvolti nel processo culturale, organizzatori, promoter, manager, stampa, critica, didattica…».
Cosa gira nei lettori di Alessandro e Nicola in queste settimane?
ALESSANDRO FEDRIGO: «Immunity di Jon Hopkins».
NICOLA FAZZINI: Orbite naturalmente… Sto scherzando. Steve Coleman, Ligeti, Dawn of Midi, Bang on a Can».
I prossimi progetti di nusica.org?
FAZZINI E FEDRIGO: «A parte il progetto Jazz Area Metropolitana, sicuramente stiamo ampliando la nostra sezione booking: a giugno e luglio saremo con Hyper Trio in Canada e negli Stati Uniti (Vancouver e Ottawa Jazz Festival tra gli altri) e ci saranno molti concerti di presentazione del nuovo disco di XYQuartet da qui all’autunno prossimo in Italia e all’estero. Inoltre stiamo progettando nuove collaborazioni per futuri progetti artistici e discografici; insomma le cose da fare non mancano, alle volte le giornate dovrebbero avere qualche ora in più per poter seguire a dovere tutto quello che bolle in pentola..».
La foto di apertura è di Claudio Sichel.