Inizierà con l’esecuzione di frottole, madrigali e villanelle del primo Cinquecento e si concluderà con la Rappresentazione di Anima e di Corpo di Emilio de’ Cavalieri la 50° edizione del Festival di musica antica di Urbino che si svolgerà dal 19 al 28 luglio nel cuore della splendida città rinascimentale.
La storia di questa manifestazione coincide con quella dell'organizzazione dei corsi estivi dedicati ai principali strumenti storici e alla prassi vocale della musica monodica e polifonica, e infatti anche quest’anno il concerto finale nel quale verrà eseguito il capolavoro di uno dei padri del recitarcantando, che è uno dei primissimi frutti dell’avvento della monodia accompagnata in stile rappresentativo, sarà il risultato del lavoro svolto dal direttore Alessandro Quarta con i corsisti, ai quali verranno affiancati giovani cantanti affermati che interpreteranno le parti soliste, come Francesca Aspromonte, Mauro Borgioni, Luca Cervoni, Riccardo Pisani e Andrés Montilla Acurero. L’Ensemble vocale e strumentale della FIMA (Fondazione Italiana per la Musica Antica) che si ricompone ogni anno in occasione della manifestazione è prevalentemente composto da ex allievi dei corsi e dai novizi che possono essere sia amatori di buon livello che professionisti agli esordi.
Ciò che rende particolare Urbino Musica Antica è la presenza di giovani provenienti da tutto il mondo, attirati dalla qualità dei docenti e dalla bellezza del paesaggio, e questo contribuisce a creare un clima di comunità che difficilmente si può spiegare a parole. Poter praticare e ascoltare la musica in un luogo che è una delle espressioni tangibili dell’umanesimo rinascimentale è una esperienza cognitiva indimenticabile, e buona parte dei suoi docenti sono passati dai corsi di Urbino prima dell’inizio della loro carriera professionale. Molti fra i principali interpreti italiani che oggi rappresentano la cultura della musica antica a livello internazionale, hanno frequentato Urbino prima di divenire famosi.
La storia
I corsi, la rassegna musicale e la mostra di strumenti musicali, che da molti anni si svolge durante la manifestazione, sono organizzati dalla Fondazione Italiana per la Musica Antica (FIMA), la ex Società Italiana del Flauto Dolce (SIFD) fondata nel 1971 da Giancarlo Rostirolla, che oggi è il suo presidente onorario e che è stato il principale fondatore della pioneristica manifestazione.
A lui abbiamo rivolto qualche domanda.
Lei è stato il primo presidente della SIFD che più tardi è stata ribattezzata FIMA.
«La mia presidenza è stata quella dei primordi, nella fase sperimentale di un progetto che è cresciuto negli anni. Si tratta in fondo di una nascita spontanea ispirata dal fascino e dalla suggestione della musica corale, che poi si sono trasferite quasi per caso anche sul piano di quella strumentale. All’epoca facevo parte del Coro Universitario fondato da Franco Maria Saraceni e il piacere del fare musica d’insieme era molto intenso. Ricordo che a un certo punto entrò a farne parte un ragazzo tedesco, figlio di un funzionario di ambasciata, che una sera mi invitò a casa sua. Io avevo iniziato a suonare il flauto dolce e dopo cena la sua famiglia mi coinvolse in una sessione di quella che in tedesco viene chiamata Hausmusik, ossia musica domestica o di salotto. Mentre io e lui suonavamo accompagnati da sua madre alla spinetta, si aggiunsero le sue sorelle e l’esperienza di questo piccolo concerto familiare mi fece riflettere sull’importanza del fare musica d’insieme. Mi resi conto di quanto fosse importante sul piano culturale e sociale la conoscenza e l’esperienza musicale e così decisi con qualche collaboratore di organizzare una piccola scuola a Roma. A Torino era stata fondata un'accademia del flauto dolce, ma in Italia non c’erano luoghi o occasioni per poter studiare e praticare la musica antica e si avvertiva il bisogno di stare insieme e il desiderio di qualcosa che avvicinasse e unisse le persone. Iniziammo dal nulla e proponemmo poi qualche corso estivo tra Roma e Perugia, ma per vari problemi, tra cui non ultimo quello della logistica, queste non si rivelarono le sedi adatte».
Come le venne l’idea di rivolgersi alla città di Urbino?
«Avevo un amico marchigiano che era un finissimo intellettuale amante della musica che mi parlava spesso di Urbino e che mi incitò a prendere dei contatti con la città. Ricordo che vi arrivammo nel primo pomeriggio di un freddo giorno d’inverno; tutto era avvolto da una fitta nebbia e arrivati nella piazza principale ci dirigemmo verso l’insegna luminosa di un bar per scaldarci e bere qualcosa. Iniziammo a parlare con il barista e per caso tra gli avventori c’era il bidello della scuola principale di Urbino, che a un certo si diresse nella sala a fianco e tornò con un signore in maniche di camicia al quale aveva detto che erano arrivati dei tizi che volevano fare dei corsi di musica. Quel signore ci chiese perché eravamo lì e che cosa cercavamo e a un certo punto mi disse: “Venga domani mattina al Rettorato e ne parliamo”. Era Carlo Bo, e da quel momento si aprirono tutte le porte, a cominciare da quelle della Scuola “Pascoli”, il grande edificio con le sue numerose aule che venne messo a nostra disposizione. Percepimmo subito un senso di apertura e di interesse per la cultura e per l’arte e così nacque il primo corso di musica antica fatto nella città del Rinascimento per eccellenza».
All’inizio eravate in pochi.
«Sì, sei o sette docenti per una sessantina di allievi, ma grazie anche alla partecipazione dell’Università siamo cresciuti e il numero di partecipanti si è moltiplicato fino ad arrivare negli anni Settanta a circa seicento persone. A un certo punto arrivò anche Umberto Eco, che era appassionato di musica e che per qualche anno si iscrisse ai corsi di flauto, e poi tornò più tardi per partecipare ad alcuni importanti convegni come quelli su Vivaldi, sul rapporto tra musica e scienza, e su Heinrich Schütz, che fu il primo realizzato in Europa».
Negli anni d’oro oltre ai corsi dedicati agli strumenti storici e alla vocalità, c’erano anche quelli più specificatamente rivolti al campo della ricerca musicologica.
«Erano gli anni in cui la musicologia stava riscoprendo e indagando la musica del passato, e oltre a cercare di mettere in pratica quello che si stava studiando, volevamo contribuire a incrementare questa sinergia. Così vennero messi in programma anche corsi sull’iconografia musicale e sulla catalogazione delle fonti, oltre a tutti quelli che hanno sempre caratterizzato la manifestazione».
Nel panorama italiano l’esperienza di Urbino è stata fondamentale per la conoscenza e la diffusione della musica antica.
«Questa attività ha dato dei bei risultati, e attraverso gli anni molti degli strumentisti che venivano a Urbino, hanno poi proseguito specializzandosi frequentando i corsi di altre città europee. Tra questi posso ricordare Alfredo Bernardini, Sergio Balestracci, Rinaldo Alessandrini, Lorenzo Cavasanti, Giorgio Pacchioni, e Pietro Verardo che è stato tra i primi a fondare un ensemble di musica antica. Ci sono molti altri nomi e non posso ricordarli tutti, ma penso a Mirko Caffagni che ha insegnato a Urbino ma che poi ha continuato a frequentare i corsi accompagnando le figlie che hanno formato l’ensemble laReverdie, o ai figli di Danilo Dolci».
«A un certo punto arrivò anche Umberto Eco, che era appassionato di musica e che per qualche anno si iscrisse ai corsi di flauto».
«Alla fine anche i conservatori di musica hanno iniziato a prendere atto che stava cambiando qualcosa ed hanno istituito i primi corsi di musica antica, ma Urbino è un mondo fantastico, dove la tradizione trasuda dalle sue mura, e basta guardare la civiltà con la quale la città è stata mantenuta…».
Dopo il lungo mandato di Giancarlo Rostirolla, la presidenza della Fondazione è stata affidata a Renato Meucci, che ci racconta brevemente la sua esperienza.
«Sono stato presidente dal 1993 al 2007 e ho organizzato le edizioni che hanno compreso quella del trentennale, ma ho partecipato anche agli eventi del quarantennale. Quando ho iniziato ad occuparmi della manifestazione la SIDF aveva da poco cambiato il suo nome in FIMA, e il numero dei partecipanti dopo aver raggiunto il picco massimo negli anni precedenti, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, all’apice della sua dimensione amatoriale, era iniziato a calare. Ricordo che vi erano moltissimi flauti dolci, ma mancava la dimensione professionalizzante, e nei conservatori di musica ancora non erano stati istituiti corsi di musica antica. Io ho gestito la fase di transizione. Ricordo che gli iscritti erano circa duecentocinquanta, e abbiamo dovuto scegliere se mantenere lo spirito originario, scanzonato, goliardico e molto divertente, che culminava nelle danze popolari che si facevano la sera in piazza e che erano un momento di aggregazione molto simpatico, come anche quello della banda di flauti che suonava per le strade della città, o intraprendere una strada diversa».
Rispetto ad altre rassegne la fama di Urbino è cresciuta più grazie al passaparola che alle campagne pubblicitarie. La diminuzione del numero di partecipanti avrebbe potuto mettere a rischio la sua prosecuzione.
«Non abbiamo mai voluto stringere legami con la politica, e ci sono stati momenti molti difficili dovuti ai tagli, ma abbiamo mantenuto la nostra indipendenza affrontando le riduzioni di budget anche grazie a una gestione molto oculata, che ci ha consentito di sopravvivere e progredire. Mi ricordo che i primi anni andavamo a togliere l’acqua dalle sedie dopo la pioggia, ed era un costante fai-da-te. Dovevamo correre da un posto all’altro cercando di far fronte a tutti gli imprevisti, ma io ero sempre in giacca e cravatta, o almeno in camicia e cravatta che era la mia cifra distintiva».
Era dovuto al desiderio di manifestare simbolicamente la transizione dalla dimensione amatoriale a quella professionalizzante?
«Può essere [risata], ma è una trasformazione che è costata in tutti i sensi, anche in termini di rapporti umani per via degli inevitabili cambiamenti. Io avevo iniziato a frequentare Urbino già dal 1984, all’inizio per partecipare a un convegno e poi per svolgervi dei corsi di iconografia musicale».
«Dobbiamo ricordare che nei nostri ambienti un tempo circolava la battuta che diceva che chi non sapeva suonare faceva musica antica…».
«La cosa più importante è che siamo riusciti a creare un’orchestra barocca con elementi di qualità ed è stata una scelta sulla quale abbiamo puntato molto, con la prova d’orchestra di ogni pomeriggio che era diventato un appuntamento importante e prioritario. La presenza di numerosi violini, grazie anche alla collaborazione di Enrico Gatti che dirigeva la didattica dei corsi e quella di Claudio Rufa che curava la parte concertistica della manifestazione, ha consentito di costituire la base dell’orchestra che eseguiva il concerto finale. Questo si svolgeva nel cortile del Palazzo Ducale, con il quale riuscimmo a stabilire una proficua collaborazione. Con l’arrivo di Susanne Scholz la situazione si è stabilizzata e l’orchestra è divenuta il vero e proprio cardine della manifestazione. Dobbiamo ricordare che nei nostri ambienti un tempo circolava la battuta che diceva che chi non sapeva suonare faceva musica antica…»
Dopo di lei la presidenza è stata affidata ad Andrea Damiani.
«È stato Giancarlo Rostirolla a proporre il mio nome come presidente, e lui ha avuto un ruolo propulsivo fondamentale e straordinario, inventando molte cose che hanno contribuito a rendere felice e longeva la rassegna. Andrea ha stabilizzato e rivitalizzato tutto il lavoro che abbiamo svolto in precedenza, ed il 2007 è stato un anno particolare perché per favorire il passaggio di consegne abbiamo condiviso la direzione della FIMA».
Andrea Damiani è presidente della Fondazione dal 2008 e ha l’onere e l’onore con i suoi collaboratori di celebrare l’importante anniversario di questa storica manifestazione, grazie alla quale sono notevolmente aumentati i musicisti italiani che si sono dedicati alla musica antica, ammirati e invitati in tutta Europa e nel resto del mondo.
1968-2018: come vive questo traguardo così importante?
«Ho insegnato per circa trent’anni nei corsi di Urbino, mi sembra dal 1983, dopo esserne stato allievo, ed è stata una delle mie prime esperienze professionali. Dunque con l’attività di presidenza posso dire di aver vissuto la manifestazione da diversi punti di vista e in tutti i possibili ruoli. Sono stato allievo ad Urbino insieme ad altri colleghi, come ad esempio Gatti, Alessandrini, Bernardini, Capirci, e dopo gli anni della formazione abbiamo iniziato, spero senza far troppi danni, a insegnarvi. La manifestazione si è trasformata nel tempo, e ha perso quegli aspetti pionieristici degli inizi. Va ricordato che all’epoca negli ambienti accademici eravamo malvisti, e ci trattavano con una certa condiscendenza, ma poi negli anni l’approccio alla prassi esecutiva storicamente informata ha acquisito spessore fino ad essere riconosciuta istituzionalmente, e Urbino ha seguito e accompagnato questa evoluzione».
«All’epoca negli ambienti accademici eravamo malvisti, e ci trattavano con una certa condiscendenza, ma poi negli anni l’approccio alla prassi esecutiva storicamente informata ha acquisito spessore, e Urbino ha seguito e accompagnato questa evoluzione».
«Oggi, nonostante la musica antica sia insegnata nei conservatori di tutta Europa e non solo, riceviamo studenti da tutto il mondo. I giovani vengono e hanno l’opportunità di suonare insieme, e noi abbiamo colto questa esigenza che è un loro bisogno. Tanti giovani hanno cominciato ad affacciarsi al mondo del lavoro partendo da qui, ed è qui che sono nati dei gruppi che poi si sono esibiti negli anni seguenti creando una sorta di circolo virtuoso. Posso ricordare ad esempio AbChordis, Ricercare Antico, Anima & Corpo, o penso a Francesca Aspromonte che è stata allieva dei corsi di Urbino e che oggi canta nei più importanti festival e teatri nazionali e internazionali».
«Fare il presidente significa mantenere una fitta rete di rapporti con le istituzioni e una macchina così complessa richiede molto impegno, anche dal punto di vista economico, per andare avanti. La nostra manifestazione si tieni in piedi grazie allo sforzo di molti, con un bilancio che riesce appena ad arrivare al pareggio. A volte scherzando con i miei collaboratori diciamo che quando eravamo studenti o insegnanti non vedevamo l’ora che arrivasse l’inizio dei corsi, ma ora dalla prospettiva della sala macchine, aspettiamo il giorno conclusivo [risata] sperando sempre che vada tutto liscio e per il verso giusto… A volte ho nostalgia del periodo in cui mi occupavo solo della didattica, ma il contatto con un gran numero di persone, dai colleghi agli amministratori, mi ha arricchito dal punto di vista umano».
«L’unica nota triste di questo cinquantenario riguarda le persone che sono state molto importanti per noi, ma che non ci sono più come Barbara Sparti, Lavinia Bertotti e Gerd Lünenbürger, di cui sentiamo la mancanza».
I corsi
Da quest’anno la direzione dei corsi è stata affidata a Giovanni Togni, che già nelle edizioni precedenti aveva affiancato Andrea Damiani per il loro coordinamento.
Cosa si prevede quest’anno?
«Negli ultimi anni c’era stata una leggera flessione degli studenti provenienti dall’estero, ma quest’anno, credo anche perché abbiamo iniziato a pubblicizzarli prima, c’è stato un incremento degli iscritti stranieri. Lo scambio internazionale è molto importante per noi perché vogliamo aprirci e confrontarci sempre di più con diversi metodi e con diverse scuole di pensiero. È molto piacevole e stimolante stare insieme e fare musica con persone provenienti da varie parti del mondo».
«La maggior parte dei nostri corsi è oramai ben stabilizzata, grazie all’esperienza dei docenti e a quella organizzativa, e possiamo offrire un ventaglio di proposte abbastanza ampio. Quest’anno abbiamo adottato uno schema che prevede corsi della durata di cinque e di dieci giorni, in modo tale da consentire una frequenza parziale o integrale a seconda delle possibilità e delle necessità degli allievi. Inoltre tra i docenti abbiamo nuovi collaboratori come Roberta Mameli, Francesco Corti, Andrea Inghisciano, Ryo Terakado e Crawford Young. La scuola Pascoli quest’anno è chiusa per lavori, quindi le lezioni si svolgeranno in più sedi tra Palazzo Albani, l’Istituto d’Arte, il Collegio Raffaello, e la Cappella Musicale. In quest’ultima si svolgerà Urbino Giovani (la sezione rivolta alla fascia d’età compresa tra i dieci e i quattordici anni) che ha una valenza molto importante per noi, anche perché alcuni degli studenti che l’hanno frequentata in passato sono oramai transitati in Urbino Musica Antica e rappresentano per noi uno spunto di riflessione relativo alla creazione di un percorso didattico per le nuove generazioni»
I concerti
Tra i concerti da segnalare c’è quello dell’ensemble Dramatodìa dedicato al compositore Adriano Banchieri, nato 450 anni fa a Bologna. Il gruppo eseguirà la sua commedia madrigalesca La barca di Venetia per Padova del 1605 (ristampata nel 1623 con la dicitura "Stoppata, Impegolata, & aggiuntoui / Il Basso continuo (Piacendo) / Per lo Spinetto, ò / Chittarron"), che consiste in una ventina tra madrigali e canzonette intonati a turno da una brigata di variopinti passeggeri sul Burchiello, il battello che lungo il fiume Brenta collega le due città. Generalmente questo genere di musica tardorinascimentale viene eseguito in forma di concerto, secondo quanto indicato da Orazio Vecchi, l’altro importante artefice di questa gustosa produzione musicale nella quale il madrigale dialogico incontra la tradizione della commedia dell’arte, ma l’ensemble bolognese propone una versione della divertente opera di Banchieri interamente cantata e recitata in costume, come spiega il suo direttore Alberto Allegrezza.
«Questa messa in scena è frutto di un lungo lavoro di ricerca sul teatro di fine Cinquecento e inizio Seicento e i suoi rapporti con la musica. Il nostro gruppo si è specializzato in un repertorio particolare, quello della polifonia dialogica alla quale diamo una veste scenica, prendendo spunto anche dalle mascherate che venivano allestite nel periodo del Carnevale. Nelle commedie madrigalesche venivano spesso inserite delle mascherate e così noi abbiamo esteso la dimensione scenica a tutto il suo svolgimento narrativo. Le mascherate erano legate ai mestieri, e ad esempio alla fine della Barca è presente il personaggio del soldato svaligiato che viene dall’Ungheria, che troviamo già nei testi di Giulio Cesare Croce. Nella narrazione che lega tra loro i canti ci sono molti spunti scenici come nel punto in cui i cinque cantori si presentano, o nel dialogo tra Orazio e Rizzolina, e dal punto di vista della polifonia c’è la giustapposizione tra lo stile aulico del madrigale, che canteremo ‘a libro’, ossia leggendo le parti, e quello popolaresco di villanelle e canzonette che intoneremo "a mente", ossia a memoria».
Da dove viene il nome del vostro gruppo?
« Il nome deriva dagli intermedi sopra l’Aurora ingannata, costituiti dai canti rappresentativi di Girolamo Giacobbi, sui testi del conte Ridolfo Campeggi, che sono il primo esempio di monodia accompagnata apparso a Bologna, e che vennero stampati a Venezia nel 1605».
Nel programma risalta anche il nome di un giovane ensemble emergente che si è formato a Basilea con il nome El Gran Teatro del Mundo, e che presenterà un concerto originale basato sulle cosiddette "partitions réduites" delle monumentali tragèdie lyriques e comédie-ballets di Lully, Marais e Campra che circolarono dentro e fuori la Francia per essere eseguite da piccole formazioni soprattutto ad uso domestico e amatoriale. Nel trasferimento dai teatri e dai saloni di Versailles ai piccoli salotti, il grande organico orchestrale veniva ridotto a due sole parti soliste accompagnate dal basso continuo, lasciando ampio spazio all’ornamentazione.
Julio Caballero Pérez, il clavicembalista del gruppo, ha scoperto e organizzato in modo suggestivo questo repertorio.
Le riduzioni operistiche esistevano già in epoca barocca?
«Si pensa comunemente che appartengano a una fase successiva della storia dell’opera, ma erano molto diffuse in Francia e anche al di fuori, come ad esempio nei Paesi Bassi. Non ci sono documenti che spiegano come venissero utilizzate queste versioni da camera che circolavano sia in versioni a stampa sia manoscritte, ma il fatto che ne esistano così tante realizzate sia quando i compositori eravano in vita sia dopo la loro scomparsa, indica che si trattava di una pratica molto diffusa. Per esempio le opere teatrali di Marais non vennero stampate all’epoca, a differenza delle partitions réduites che favorirono la circolazione delle sue tragedie in musica».
In questa fase di riscoperta di questo repertorio voi utilizzate solo gli strumenti d’epoca, senza le voci.
«È il tipo di scrittura musicale che suggerisce questa possibilita, anche se in futuro pensiamo di sviluppare questo progetto coinvolgendo anche dei cantanti. In questo repertorio la scrittura vocale e quella strumentale sono molto vicine, e in generale è tutto molto cantabile, e poi ci sono molte parti delle opere già in origine puramente strumentali, come le ouverture e le danze. Forse la nostra proposta è pionieristica, perché queste versioni ridotte non sono mai state prese molto in considerazione e sono state praticamente dimenticate, ma si tratta di miniature molto interessanti».
Negli anni passati la direzione artistica del Festival era stata curata da Marcello Gatti, ma da quest’anno l’incarico è stato affidato ad Alessandro Quarta, che si occuperà anche del workshop teso a preparare il concerto finale dedicato alla Rappresentazione di Anima e Corpo di Emilio de’ Cavalieri.
La conclusione del programma di quest’anno coinvolgerà molti musicisti.
«Il cinquantenario è un punto di arrivo e allo stesso tempo una ripartenza. La nostra pietra miliare non si poteva che festeggiare con una pietra miliare della storia della musica. La Rappresentazione è molto citata ma la si esegue poco per via dell’organico che è piuttosto consistente. Urbino lo consente perché gli iscritti sono tantissimi e abbiamo ogni tipo di voce e ogni sorta di strumento, e le parti corali sono ampliabili a seconda dell’organico che si ha a disposizione. Si tratta di un’opera che si conosce sui libri, ma capita di rado di poterla eseguire. Per la nostra generazione o per le precedenti è qualcosa di scontato, ma non lo è per i giovani che arrivano ad Urbino. Se possibile cercherò di far imparare a memoria tutte le parti in modo da consegnarne il testo direttamente al pubblico, compreso il coro, e favorire così la sua mise en éspace. Nella prefazione della edizione a stampa de’ Cavalieri descrive anche come deve agire il coro, con dei gesti conformi al significato del testo. Naturalmente si tratta di una gestualità puramente simbolica, come ad esempio quella del Corpo che spogliandosi delle cose terrene deve togliersi la piuma dal cappello… Sulle sedie della platea ci sarà la parte finale del coro, e chi assiste potrà intonare “Chiostri altissimi e stellati” insieme agli interpreti».