Jim O'Rourke
Simple Songs
Drag City
Si fa presto a dire "canzoni semplici". Specialmente se a scriverle e interpretarle è il quarantaseienne musicista di Chicago, da tempo di stanza però a Tokyo. Uno nel cui curriculum svettano le collaborazioni con Sonic Youth (con cui ha suonato stabilmente per sei anni) e Wilco (dei quali ha prodotto i dischi migliori): referenze che non devono far dimenticare quanto eclettico sia il suo estro, in grado di districarsi con disinvoltura tanto nell'ambito del jazz improvvisato quanto in quello del rumorismo rock, come testimoniano le partnership recenti con Peter Brötzmann e Keiji Haino. Qui si cimenta tuttavia con la forma canzone: attività non nuova, benché trascurata in epoca recente, visto che l'ultima volta risale addirittura al 2001, quando pubblicò Insignificance (stesso titolo di un film di Nicolas Roeg, oggetto di una sorta di ossessione, poiché in precedenza altri due lavori del regista britannico - Bad Timing ed Eureka - avevano fornito intestazione ad altrettanti album di O'Rourke).
In otto episodi e trentotto minuti scarsi l'artista statunitense mette in mostra la propria enciclopedica sapienza sonora, applicandola a composizioni che rimandano alla tradizione più aristocratica della pop music americana d'autore, ostentando raffinatezza formale modello Steely Dan ("Half Life Crisis"), maturità di scrittura degna di Randy Newman ("All Your Love") e complessità d'arrangiamento pari a quella di Van Dyke Parks ("End of the Road"). Un piacere d'ascolto raro, se solo ci si sofferma sull'incredibile varietà di sfumature che impreziosisce il disco.