Un flauto per Padre Kolbe

Roberto Fabbriciani dedica un'opera al santo polacco

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La storia e la vita del padre francescano polacco, Massimiliano Kolbe, santificato da papa Wojtyla, ha tutte le caratteristiche delle grandi figure tragiche ed eroiche delle agiografie della storia della chiesa per il suo gesto per il quale, nel campo di concentramento di Auschwitz, si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, nel bunker della fame, morendo di stenti dopo giorni di agonia. Si è deciso di farne un'opera, da parte delle istituzioni ecclesiastiche, per celebrarne la figura in occasione del centenario della Militia, fondata dallo stesso Kolbe. "Grande, grande amore” è il titolo, di quest'opera per soli, voci recitanti, coro e orchestra, libretto di Luigi Francesco Ruffato musica di Roberto Fabbriciani. Verrà eseguita in prima esecuzione assoluta nella cornice della basilica di S. Antonio di Padova il 23 giugno con l'Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Alessandro Cadario, con i cori “Polifonica Benedetto Marcello” e quello di voci bianche “Kolbe Children's Choir” diretti da Alessandro Toffolo, l'evento sarà inoltre presentato da Massimo Cacciari.

Il nome di Roberto Fabbriciani è legato alla storia della ricerca musicale e della scrittura per flauto del Novecento. E' noto il suo sodalizio con Luigi Nono e tutto un repertorio che numerosi autori dell'avanguardia gli hanno dedicato, lo ritroviamo nelle vesti di compositore (tuttavia presente con il suono del “flauto iperbasso” nei live electronics inseriti in alcuni momenti di questo lavoro) ad illustrarci cosa lo ha guidato nella composizione di quest'opera che gli è stata commissionata.

Opera od oratorio, cos'è “Grande, grande amore”, quale la sua struttura narrativa?

«È un'opera in un atto, in forma di oratorio: non c'è la scena come nell'opera, in quanto il discorso scenico è superato, perché la sua forza per me deve emergere, unitamente dal contenuto del libretto e dalla musica. Mi viene in mente un'opera senza scena come il “Prometeo” di Nono, dove la drammaturgia è dettata proprio dal suono. Diciamo che il mio lavoro si muove sulla stessa linea».

Hai avuto il compito di raccontare la tragica vicenda e la figura di padre Kolbe, come si articola la narrazione?

«Il libretto sviluppa un dialogo tra Massimiliano Kolbe e il suo assassino, il capo nazista Rudolf Höss, che era direttore di Auschwitz, dove Kolbe venne ucciso. Si racconta di quello che viene considerato una sorta di miracolo, quando, alla fine della guerra, il suo carnefice si pente di tutto prima di essere condannato a morte nel campo: è un fatto storicamente accertato, che si evince da una lettera, scritta dallo stesso Höss alla moglie e ai figli, dove chiede perdono e dove riconosce le sue colpe, consigliando i figli di non seguire assolutamente la sua strada e di rivedere il loro pensiero, perseguendo il bene. Il testo di questa lettera ha per me la carica di una grande lezione etica ed infatti ho deciso di metterlo in musica».

Vediamo quindi il libretto com'è costruito

«Il libretto, scritto da Padre Francesco Ruffato, grande studioso della figura di Kolbe, è sicuramente l'elemento che costituisce la grande forza trainante di questo lavoro. Si racconta della vita di Kolbe, della sua vocazione, della sua famiglia: sono presenti le figure della madre, del fratello, della nipote e ovviamente dello stesso Kolbe. Si narra di quando va in missione, in Giappone, fino a quando si ritrova ad Auschwitz, dove decide di immolarsi, chiedendo ai nazisti di essere sacrificato al posto di un padre di famiglia condannato a morte. Questo fa emergere in maniera grandiosa la forza della misericordia di questo personaggio, poi santificato da Papa Wojtyla. Ed in questo lavoro ho voluto proprio far emergere questo: la forza della misericordia!»

Veniamo ai personaggi, ai protagonisti

«C'è un narratore, sette frati, ci sarà il fratello di Kolbe, Franco, la nipote, la mamma, tutte voci recitanti, mentre ci sarà un'unica cantante: fuori scena, invisibile, che di fatto rappresenta la Madonna, la purezza assoluta. Poi c'è un'orchestra sinfonica, un nastro magnetico registrato da me con il flauto iperbasso, che darà sostegno all'attore nella drammaturgia, soprattutto riguardo alla figura di Rudolf Höss, il comandante del campo di concentramento».

Quale funzione narrativa ha il nastro magnetico?

«È un suono nuovo e l’aspetto acustico dell’iperbasso viene distribuito nello spazio con il live electronics. La voce potrà essere sostenuta molto bene dalla profondità del suono: da questo emergerà bene la forza drammatica del testo. Si tratta di un elemento che ha un suo percorso autonomo, per cui starà all'attore trovare le modalità per interagire con questo suono: c'è una grande libertà in una situazione del genere, assieme a tante altre nuove possibilità atte a tradurre il testo in azione. Si tratta di un suono particolare, inedito, che ha una grande valenza drammaturgica: proprio con Nono si parlava della “drammaturgia del suono” a proposito del suono dell'iperbasso, con le sue multiformi possibilità. È uno strumento che ha una ricchezza grandissima, come se fosse, da solo, un'altra intera orchestra».

Poi c'è il coro...

«Tutto il lavoro è un grande affresco corale, c'è un coro di bambini, voci meravigliose, angeliche, e un coro misto, il coro che narra la vicenda come si faceva nel teatro greco antico».

Parliamo del linguaggio musicale che hai adottato e quali strategie drammaturgiche particolari.

«Il libretto è molto composito, particolare: questo aspetto suggerisce molte cose. In parte ho voluto riprendere un po' la tradizione popolare polacca, in quanto ci sono citazioni storiche ben precise, che io naturalmente ho rivisitato: c'è un tipo di coralità che si rifà molto a questa tradizione, quindi riprendo anche temi, come quello della Madonna Nera, con una forte funzione di memoria. Fa parte di una grande tradizione religiosa, a cui Padre Kolbe era molto legato. E quello della Madonna nera è un tema molto conosciuto, che ho ripreso nel punto in cui Padre Kolbe parla con la sua mamma. In questi momenti non potevo fare a meno di riprendere una coralità di stile bachiano, e addirittura una polifonia quattrocentesca».

Arcaismi molto accentuati quindi?

«Sì ma con un linguaggio molto attuale, moderno, con tecniche contemporanee: faccio uso di un’armonia “avanzata” e non tradizionale sottolineando i fatti drammaturgici del libretto. L’episodio citato della Madonna nera, ad esempio, è stato armonizzato atonalmente attraverso dei cluster dell’orchestra e del coro ma con la melodia che canta in fa maggiore come avviene nel canto originale. Si creano così delle sonorità suggestive ed inedite ma con il canto originale, melodia molto nota non solo in Polonia, facilmente riconoscibile».

Ci sono aspetti o situazioni particolari che vengono esaltati e messi in rilievo dalla musica? «Ci sono sottolineature strumentali, ad esempio l'uso del vibrafono, che ricorda spesso le campane che suonano a morto. Ci sono i cluster continui degli archi, che sottolineano certi momenti duri del testo. Ci sono sottolineature strumentali in riferimento al testo: un uso del linguaggio, direi un po' totale, estremamente aperto. Ho usato un po' tutta la conoscenza che mi porto dietro, usando un linguaggio il più ampio possibile. Ho inserito anche una chitarra, che è inusuale in un contesto orchestrale, ma con una sonorità particolarissima che, associata alla voce, introduce una melodia struggente: da qui partirà un’altra melodia che sarà quella della Madonna, vista ritta davanti alla croce e che sarà propria di un momento molto drammatico».

Visto questo, ci sono modelli a cui fai riferimento, per quel che riguarda la musica religiosa, a parte i modelli bachiani antichi a cui hai fatto riferimento?

«Di fatto non è che mi rifaccia a modelli precisi, ma uso un linguaggio aperto, che sicuramente ricorda Stravinskij o Messiaen, ma senza un preciso modello di riferimento. E' una necessità che è nata dopo che ho letto questo libretto: è una musica che è uscita con grande naturalezza, senza pensare a modelli o quant'altro».

C'è qualcosa dei modelli della scrittura di una musica religiosa contemporanea, nell'impiego del coro ad esempio?

«Il coro è musicalmente il vero protagonista: questo lavoro sfocia in un grande corale finale, senza pensare necessariamente ad un suo uso strettamente religioso. Ho più che altro voluto enfatizzare un tipo di comunicazione che si fonda sulla semplicità: così il senso di ingenuità che ho voluto trasmettere con il coro dei bambini, che cantano una melodia semplicissima, a mio avviso toccante. Non so dire se questo si rifà a dei modelli: è una cosa che ho sentito, e che ho fatto senza pensare a riferimenti specifici».

Quale l'elemento che prevale, quello dolente o quello della speranza?

«E' un'opera di grande speranza, assolutamente; una composizione al positivo, che dovrebbe dare un grande messaggio di pace, di serenità, dietro alla tragedia che c'è stata. Questo per me è molto importante. Voglio sottolineare che l'opera è stata scritta per festeggiare il centenario della milizia religiosa, fondata da Padre Kolbe nel 1917, e vuol essere proprio per questo un grande messaggio di pace!»

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