A Tribe Called Quest, 18 anni dopo

Un disco nuovo di A Tribe Called Quest, un finale glorioso per il collettivo hip hop

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pop

A Tribe Called Quest
We Got It from Here… Thank You 4 Your Service
Epic

Il 2016 ha portato il risveglio delle “lingue native”. Prima i De La Soul, tornati in estate con un nuovo lavoro (qui la recensione) dopo una dozzina di anni e adesso – a 18 dall’ultima apparizione discografica – A Tribe Called Quest, insieme ai Jungle Brothers componenti la trinità sulla quale si reggeva il collettivo Native Tongues, che a fine anni Ottanta impresse una svolta “consapevole” all’hip hop nel segno di sonorità eclettiche e argomenti afrocentrici.

L’annuncio che qualcosa bolliva in pentola arrivò in coda alla performance televisiva al Tonight Show di Jimmy Fallon, il 13 novembre 2015. C’erano appena stati gli attacchi a Parigi e quegli eventi tragici diedero impulso al quartetto, ricostituitosi estemporaneamente nel 2013 per esibirsi in tournée di spalla a Kanye West (qui in vetrina nella struggente e raffinata “The Killing Season”). A rendere l’album ancora più intenso e simbolico è stata la morte improvvisa del rapper Phife Dawg, ucciso nel marzo scorso dalle conseguenze del diabete, ma comunque presente nella maggioranza dei 16 brani della raccolta.

We Got It from Here… riverbera dunque il lutto, benché in modo niente affatto retorico: “Lost Somebody” racconta la perdita con sensibilità soul (la voce femminile dell’ospite Katia Cadet) e inopinata eccentricità rock (la chitarra di Jack White, che affiora pure altrove, in appendice), mentre la conclusiva “The Donald” non allude – come si potrebbe supporre – a Trump, bensì allo scomparso, soprannominato dagli amici “Don Juice”. Semmai il messaggio politico è affidato all’iniziale “The Space Program” (dove si afferma che per i “negri” non c’è posto nemmeno nello spazio) e con versi taglienti – “Ehi voi neri, ve ne dovete andare tutti/Ehi voi messicani, ve ne dovete andare tutti/E anche voi poveracci, ve ne dovete andare/Gay e musulmani, detestiamo come siete/Perciò tutti voi, brutta gente, ve ne dovete andare” – nella successiva “We the People”, trainata da un groove cupo e risoluto.

Sono gli apici dell’opera, accanto a “Whateva Will Be”, dagli accenti dub, e “Melatonin”, che viceversa rimette in scena le atmosfere jazzate ai tempi marchio di fabbrica della crew newyorkese, più degli episodi resi appariscenti dai protagonisti dei cammei: Elton John (!) in “Solid Wall of Sound”, André 3000 degli OutKast in “Kids” e le nuove stelle della black music Kendrick Lamar e Anderson .Paak, al microfono rispettivamente in “Conrad Tokyo” e “Movin Backwards”. Ad armonizzare in cabina di regia gli ingredienti, tra cui un’ampia selezione di strumenti “veri”, è Q-Tip: produttore ingegnoso, oltre che rapper di qualità sopraffina. Con ciò la Tribù dovrebbe aver chiuso la propria avventura artistica: un finale glorioso, vista la vetta dell’hit parade conquistata oltreoceano.

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