Tre libri jazz da leggere – con calma – per cominciare al meglio il nuovo decennio.
Maxine Gordon, Dexter Gordon. Sophisticated Giant
EDT, 297pp., 22€
Che quella di Dexter Gordon fosse una figura iconica del jazz, chi ha più o meno la mia età lo ha scoperto in piena adolescenza, con la memorabile interpretazione nel film Round Midnight di Bertrand Tavernier.
Pioniere del bebop, artista umanamente tormentato, tra improvvise sparizioni, guai con la giustizia, soggiorni in Europa e acclamate ricomparse, Gordon è stato – con l’inconfondibile figura, altissima e affascinante – musicista capace di trapuntare le frasi del proprio sax tenore come scintillanti dettagli nel tessuto della storia del jazz.
Questa biografia, scritta dalla moglie Maxine Gordon sulla scorta dei ricordi dello stesso Dexter, nonché su testimonianze vissute in prima persona, consente a chi legge di rivivere in modo profondo le tante vicende di questa storia, dagli incontri con gli altri “giganti” di questa musica alla solitudine e agli abissi dell’animo. Nella preziosa cura italiana di Francesco Martinelli, questo recente “classico” del genere (auto)biografia jazz è una lettura imprescindibile per ogni appassionata/o.
Aldo Gianolio, Il trombonista innamorato e altre storie di jazz
Robin Edizioni, 278pp., 18€
Se alcune vicende di jazzisti, come quella di Gordon, sono così originali che sembrano quasi inventate, le storie che Aldo Gianolio (firma nota agli appassionati sia per il suo bel lavoro critico/giornalistico che per la vivace verve narrativa) ha raccolto qui sono così inventate da sembrare vere.
Potrebbero anche esserlo, nella contestualizzazione e in molti elementi lo sono, ma non è questo l’importante: la cosa fondamentale è che, sia che parli dei pensieri suicidi di Albert Ayler, della mania di J.J. Johnson per gli orologi, di una tempesta di sabbia che travolge il bus dell’orchestra di Fletcher Henderson, Gianolio riesce in poche pagine a divertire e trasmettere conoscenza, facendoci salire a bordo di un narrare strampalato (molto emiliano) e appassionato, da cui si esce con una gran voglia di musica e il sorriso sulle labbra.
José Dias, Jazz in Europe. Networking and Negotiating Identities
Bloomsbury, 190pp.
Per chi ha interesse nelle vicende del jazz in Europa (spesso oggetto di fraintendimenti e pregiudizi un po’ in varie direzioni), un volume di grandissima importanza è quello che lo studioso portoghese – ma legato alla scena musicologica inglese – José Dias ha dedicato allo studio delle dinamiche e dei meccanismi che “regolano” queste musiche nel nostro continente.
È un libro che segnaliamo volentieri, sebbene la lingua inglese e l’attuale costo piuttosto proibitivo (tipico delle pubblicazioni accademiche anglosassoni, in attesa di una auspicabile versione paperback) possano scoraggiare il lettore meno specializzato, perché racconta e analizza con grande precisione la complessità dell’ambiente jazz europeo e la sua capacità di mettere in continua discussione le nozioni di cultura e identità, oltre ovviamente a quelle più specifiche dei linguaggi musicali di riferimento.
Partendo da esperienze sul campo (il festival 12Points) e dalle testimonianze di molti protagonisti della scena, musicisti, direttori artistici, studiosi, Dias riesce a strutturare una convincente mappa (seppur in continuo movimento) di come la capacità di creare delle reti e di costruire le opportunità per il supporto e la crescita di un intreccio di scene sia reso vivace e culturalmente incisivo proprio dall’incerta definizione dei confini, sia del concetto di jazz che di quello di Europa. Un lavoro importante.