Segnali musicali lungo il percorso

Franco D'Andrea, omaggiato in tre dischi live dalla Parco della Musica Records, racconta la sua "filosofia della musica"

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La Parco della Musica Records rende omaggio a Franco D'Andrea con Three concerts-Live at the Auditorium Parco della Musica Non si può rimanere indifferenti davanti all'uscita di un cofanetto di tre dischi live che vede protagonista Franco D'Andrea in piano solo, in sestetto (Andrea Ayassot sax alto, Daniele D'Agaro clarinetto, Mauro Ottolini trombone, Aldo Mella contrabbasso e Zeno De Rossi batteria), in trio con la tromba di Dave Douglas e il rullante di Han Bennink.

Sarebbe peccato mortale solo pensare che il pianista meranese abbia già detto tutto nel suo lungo percorso artistico. D'Andrea ha da dirci ancora molto per fortuna, lo fa sempre all'interno di una logica musicale personale, rigorosa nei suoi capisaldi estetico culturali ma apertissima ai contributi dei compagni di viaggio che gli sono vicini da anni condividendo con lui uno dei percorsi più fascinosi del jazz europeo. Se, come dichiara il pianista, il jazz è la musica che ha fatto felice la sua vita, altrettanto felici siamo noi che possiamo godere ancora delle sue visioni, passioni e immersioni profonde nella musica afroamericana.

Con D'Andrea abbiamo scambiato alcune riflessioni su questa uscita discografica.

Da qualunque approdo si parta, piano solo, sestetto o trio, emerge evidente come la folgorazione giovanile per gli All Stars di Louis Armstrong racchiuda probabilmente tutto lo sviluppo creativo del tuo percorso musicale.
«Hai centrato l'origine di tutto: gli All Stars di Armstrong. A circa quattordici anni ascoltai in un 78 giri, "Basin Street Blues", e ne rimasi sorpreso. Mi colpì il modo di atteggiarsi dei musicisti, la trama delle singole voci così diverse: la limpidezza della cornetta di Louis Armstrong, la potenza e i colori scuri del trombone di Trummy Young, l'andamento vellutato e sfuggente del clarinetto di Barney Bigard. Era sorprendente come quella differenza timbrica risultasse coinvolgente e fluida, con aspetti del tutto nuovi per me come quello dell'uso del contrappunto improvvisato e dello swing. Quell'intreccio è la radice di tante cose che poi ho sviluppato dagli anni Ottanta nel piano solo, nel quartetto, poi nel trio con Ottolini e D'Agaro, in ensemble più larghi».




Nei tre cd si percepisce bene che riesci a salvaguardare queste radici, ma se in solo la libertà è totale, come costruisci le trame di dialogo, come trasmetti - al di là delle partiture - ai musicisti la tua idea di costruzione musicale?
«Prima di tutto ho avuto molto tempo perché io conoscessi bene i miei musicisti e loro conoscessero la mia filosofia della musica. Il quartetto si è formato diciotto anni fa, il trio dieci... Quanto a Han e Dave ci siamo conosciuti cinque anni fa e abbiamo avuto modo di suonare insieme e ragionare sulla musica. Tutto questo è il presupposto per poter trasmettere in maniera efficace questa mia filosofia. In poche parole si potrebbe dire: quando io approccio un tema, per poterlo usare per una creazione ulteriore improvvisando, cerco sempre di individuare i suoi molteplici aspetti, quello ritmico, melodico, armonico, timbrico, senza porre priorità rispetto a questi parametri, che per me hanno uguale importanza. Il tema stesso può essere fonte di importanti ispirazioni per l'improvvisazione, anche usandone dei frammenti liberamente. E i miei musicisti lo sanno fare benissimo».

Oramai è divenuta quasi una prassi, quella che ti vede montare i pezzi come una specie di collage tra classici, amori mai sopiti, tue composizioni vecchie e nuove.
«Non sempre è così, a volte faccio anche brani unici. Tutto è cominciato dal piano solo dove mescolo, come in un flusso di coscienza, richiamo alcuni brani per poi finire in cose diverse, in una direzione ignota. Nei miei gruppi, dove io indico la direzione ma i musicisti sono tutti portatori di stimoli importanti, il percorso prevede dei segnali musicali che possono indicare la chiusura del brano (che in generale propongo io) oppure con un accenno ad un tema, l'apertura verso un altro pezzo (che ognuno dei musicisti può indicare). Basta una allusione e la transizione avviene naturale. Non usiamo scalette di brani sul palco, attingiamo a una vasta platea di composizioni tendenzialmente brevi per facilitare la memorizzazione, ma non sappiamo mai in anticipo che strada prenderemo».

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