Tra le novità più recenti proposte dall’etichetta Parco della Musica Records, legata all’Auditorium romano, troviamo due dischi a nome di sassofonisti italiani, uno del gruppo Acrobats di Tino Tracanna, l’altro a nome di Rosario Giuliani (nella foto).
Si tratta di due strumentisti ben conosciuti dal pubblico e dalla critica, divisi da una decina di anni di età, il primo spesso accomunato al quintetto di Paolo Fresu, di cui è componente da ormai oltre trent’anni, ma anche leader con una precisa personalità; il secondo in cerca di una definitiva maturità, dopo l’entusiasmo degli esordi e qualche prova in cui il coraggio espressivo non teneva il passo dell’oggettivo talento strumentale.
Gli Acrobats di Tracanna avevano esordito nel 2012 (il video qui sotto ce li ricorda al festival Time In Jazz dell’anno successivo) e tornano ora con Red Basics, lavoro che non lesina in intensità ritmica e timbrica. Con il sassofonista (impegnato a tenore e soprano) ci sono infatti un trombone gioiosamente espressionista come quello di Mauro Ottolini, la chitarra tagliente di Roberto Cecchetto, il contrabbasso di Paolino Dalla Porta (una garanzia) e la batteria di Antonio Fusco.
La musica di Tracanna, pur inserendosi in un solco già ben tracciato e che non intende riservare sorprese, ha sempre una bella cifra compositiva, consente aria tra gli elementi, ma non teme – forse proprio per questo – di accumulare energie e concedere strappi elettrici a un tessuto che è principalmente danzante e lirico. L’empatica familiarità tra i musicisti si percepisce e contribuisce alla riuscita del disco.
Si chiama invece The Hidden Side, la parte nascosta, il disco di Rosario Giuliani, alla guida di un quartetto completato dai giovani Alessandro Lanzoni e Luca Fattorini a pianoforte e contrabbasso, nonché da un batterista esperto come Fabrizio Sferra. In alcuni brani troviamo anche il violoncello di Paolo Damiani e l’arpa di Marcella Carboni.
I titoli richiamano la forza nascosta dell’amore, la magia nascosta dei colori, le memorie e le voci nascoste e lo stesso Giuliani, nelle liner notes, sottolinea come l’esplorazione del non conosciuto lo abbia portato a prendersi dei rischi formali e espressivi cui non era abituato.
Ne esce un lavoro che, senza essere sperimentale né particolarmente ardito sotto il profilo armonico o ritmico, riflette al meglio come un sistema di idee compositive e di possibilità di apertura anche all’inaspettato giovi alla musica di Giuliani, che risulta così efficace e convincente.
Il brano finale è una dedica all’amico e collega Marco Tamburini, scomparso prematuramente l’anno scorso. Un buon lavoro.