Ricordando  Albert Mayr

Riflessioni e dialoghi intorno a un musicista sperimentale 

Albert Mayr (Foto Ulrik Egger)
Albert Mayr (Foto Ulrik Egger)
Articolo

Il compositore Albert Mayr ci ha lasciato il 28 gennaio dopo una lunga malattia. Era nato a Bolzano il primo agosto del 1943 e viveva a Firenze. È stato autore di musica strumentale e vocale, digitale, elettroacustica, di performance, installazioni, opere visive. 

Approfondiamo il ricordo di questo compositore e il significato storico del suo percorso con un’intervista a 4 musicisti suoi amici e allievi. Oltre a quella di chi scrive, si leggeranno le voci di Lelio Camilleri, Francesco Michi, Francesco Giomi, Francesco Gesualdi. 

Questa domanda pongo ai miei interlocutori: della ricerca artistica e musicale di Albert Mayr mi pare siano importanti quattro temi, la computer music e il suo rapporto con Pietro Grossi, le riflessioni sul tempo, o spazio/tempo, con le performance e i lavori più ‘concettuali’, il sodalizio con la ricerca di Murray Schafer, e infine il suo impegno sociale, pur con quella sua personalità schiva e molto appartata. 

Lelio Camilleri, non ti pare che la computer music, il coding o la musica per così dire ‘algoritmica’, a parte la frequentazione iniziale con Pietro Grossi, sia forse l’aspetto meno importante nel lavoro più maturo di Albert? 

Lelio Camilleri è docente di Composizione Musicale Elettronica presso il Conservatorio di Musica L. Cherubini, Firenze. I suoi lavori sono eseguiti in Europa e in molti paesi extra europei e hanno ricevuto commissioni e riconoscimenti nazionali e internazionali. Ha pubblicato cinque libri, fra cui Il Peso del Suono (2005) e Il Suono del Progresso (2022), oltre un CD antologico di sue musiche, Parallel (2015). Collabora stabilmente con il centro Tempo Reale di Firenze di cui è socio. 

«Ecco, vorrei dissentire. Proprio di recente ho scritto un articolo per un volume pubblicato a cura di Claudio Chianura dopo il concerto e la mostra a Firenze e Bolzano con Tempo Reale per i suoi 80 anni, Per un concetto allargato di musica, in cui invece evidenzio come tutto il suo lavoro di compositore derivi dal nucleo embrionale del rapporto con Pietro Grossi e dall’attività nello studio di Fonologia S2FM, come cioè nei suoi lavori degli anni settanta sia presente una concezione sull’uso essenziale del materiale e sul suo trascorrere in strutture temporali, frutto di un lavoro essenzialmente compositivo. Penso a un brano come Relazioni e trasformazioni per violino e nastro magnetico (1975). Ma anche alle sue azioni o performance di quegli anni, alcune nei palazzi occupati a San Niccolò - perché come hai ben detto Albert voleva far uscire la musica dalle sale da concerto - sono tutt’altro che destrutturate o spontaneiste. Dunque Grossi ha un’importanza decisiva, noi lo terremo sempre presente, ad esempio nella nostra ultima rassegna di musica elettronica al Conservatorio Cherubini ogni concerto iniziava con un brano di Grossi. Pensiamo che tutto quello che questo maestro prefigurava negli anni sessanta, e che ci sembrava assurdo o fantascientifico, si è poi avverato, ragazzi che oggi con un normale computer producono loop e brani elettronici, per dire. Aggiungo anche che riflettendo su quel momento seminale, il lavoro compositivo di Albert mi pare immeritatamente poco frequentato, varrebbe la pena riproporlo anche in concerto. 

Dei temi che hai citato nella tua domanda, non è da poco l’influenza di Albert nel portare nel milieu fiorentino esperienze e visioni d’oltreoceano, da Cage, a Wolff che fra l’altro conosceva e frequentava, in una Firenze che forse guardava più a una cultura europea e mitteleuropea, Dallapiccola, Lupi, ad esempio. Anche grazie all’aria respirata nel gruppo Fluxus, trovò sintonie con artisti e musicisti fiorentini come Cardini, Nannucci, Chiari, fondò il gruppo Nuova Musica Firenze - di cui facevo parte - e con il quale si sperimentava un repertorio di compositori inglesi o americani allora pochissimo noti ma in seguito considerati maestri, come La Monte Young, e con brani di improvvisazione libera, a significare quanto, pur con modi schivi e appartati, Mayr sia stato consapevolmente dentro quel momento di trasformazione». 

Francesco Michi, musicista, sound artist, performer. http://www.arteco.org/michi Con Albert Mayr, Luca Miti ed Anton Roca ha progettato AEFB (Aesthetic Flow Bureau). Tiene concerti, workshop, realizza installazioni ed organizza eventi di Musica sperimentale. Di Mayr è stato amico e sodale, e ne prosegue l’attività di coordinatore per l'Italia delle attività del Forum Klanglandschaft (FKL), associazione internazionale per il paesaggio sonoro. 

«Concordo su quanto hai detto nella tua domanda iniziale, ma pongo l’accento sul fatto che la sua riflessione su tempo e spazio, su un modo diverso di concepirli, è per molti versi collegata a quella sul paesaggio sonoro. Ti descrivo un suo lavoro perché esplicito, in tal senso: Albert va in riva al mare e pianta tre bastoni sulla battigia. Segnala e registra tutte le volte che un’onda arriva a toccarne uno, tutte le volte che uno di essi viene lambito dalle onde del mare. Questo è un ritmo ordinato da eventi naturali. Un ‘ritmo trovato’. A me piace pensare ad Albert, oltre che come a un maestro e compagno di musica, come a un grandissimo sensibilizzatore all’ascolto. Straordinario, direi. In questo lo sento come una persona che ha cambiato e orientato molto del lavoro dei musicisti fiorentini dopo gli anni settanta, anche filtrando pensieri e visioni americane e canadesi. Un lavoro non solo musicale, ma antropologico, lo definirei umanesimo musicale, basato sull’ascolto meditato, sull’essere presenti momento per momento, interamente consapevoli». 

Nel bel documentario di Claudio Chianura girato in parte alle Murate, Mayr stesso chiarisce molto bene la differenza fra ambiente e paesaggio sonoro, e questo si sintonizza, mi pare, con quello che lui definisce più interessante e forse non ancora sufficientemente chiarito, l’elemento soggettivo, la ricostruzione emotiva o personale dell’ambiente da parte di chi vi è immerso, non trovi? 

«Esatto, e così arriviamo ai suoi progetti di ricomposizione del tempo secondo logiche armoniche, come ad esempio Hora Armonica, o tempo armonico, in cui dal kronos di semplici istanti susseguenti, si interviene per strutturarne gruppi o segmenti, aurei, o armonici, secondo serie che prendono spunto anche dagli antichi (Pitagora, Keplero, è lui stesso a citarli). Ed è per questo, aggiungo, che queste riflessioni e opere non sono scindibili dal programmatico auspicio che un diverso modo di pensare e attuare il tempo ordinario secondo principi in qualche modo musicali possa cambiare la vita delle persone, hai presente il “Banchino del Tempo”?… 

A proposito della sua ‘radicalità’, nonostante, come sottolineavi, una sua ritrosia nell’apparire o imporsi con il suo lavoro, devo dire che una parte di lui aveva accenti un po’ polemici sul mainstream in cui vedeva il riproporsi di modelli di relazione artista-pubblico tutto sommato consueti e non certo rivoluzionari, in particolare in riferimento alla cosiddetta musica contemporanea che di una rupture invece faceva il suo programma esplicito». 

Francesco Giomi è compositore di musica elettronica e regista del suono. http://www.giomi.net/ Professore di musica elettronica al Conservatorio di Bologna e direttore di Tempo Reale, il centro di ricerca musicale fondato da Luciano Berio a Firenze. Ha studiato musica elettronica e informatica musicale a Firenze e Pisa con Albert Mayr e Pietro Grossi, oltre che Scienze dell'Informazione all'Università di Pisa. 

«Partiamo dalle riflessioni sul tema del tempo, l’aspetto che meno ho frequentato, mi pare un lavoro con una valenza più teorica, peraltro secondo me scaturito anche dal clima fluxus, che Albert reinterpretò consapevolmente. Ricordo bene quando con Tempo Reale eseguimmo una sua opera significativa su questo tema, l’Hora Armonica, ma in ogni caso è un ambito meno vicino alle mie ricerche. Per la mia vicenda Albert è stato molto importante, da oltre 40 anni mi occupo di musica elettronica, e il primo contatto è stato proprio con lui nel 1982, prima ancora che con Grossi e Camilleri, che conobbi successivamente attraverso Mayr stesso. E come me non sono pochi i giovani dell’area fiorentina passati dalla sua aula in Piazzetta delle Belle Arti: quindi direi un imprinting, un maestro che ha seminato interesse in operatori culturali in grado poi di svolgere propri percorsi autentici, non epigonali. Pensiamo che ora la musica elettronica è una delle Scuole più frequentate dei Conservatori italiani, ma allora era un gruppo molto esiguo di pionieri, anche guardati come un po’ di sospetto e con un senso di emarginazione». 

La stessa domanda ho posto a Camilleri: le musiche, i lavori compositivi di Albert e Pietro Grossi, sono oggi inattuali? Ci parlano ancora, o sono oggetti che guardiamo con un occhio storicizzato ma come un po’ primitivi, per così dire? 

«Pensiamo anche che erano persone schive, emarginate forse, per questo loro carattere, ma in grado di pensare ed esprimere profonde visioni sui fatti della musica. E del suono. Ecco, lasciami dire che soprattutto grazie ad Albert Mayr riflettiamo su quanto oggi il suono sia diventato qualcosa forse più ampio della musica stessa, si potrebbe dire con un paradosso che ci si può esprimere artisticamente con il suono anche senza fare necessariamente musica. Interesse e passione per il suono, per l’ascolto e la sperimentazione: sono questi i temi di Albert Mayr ‘musicista sperimentale’. E a proposito di computer e algoritmi, secondo me hai ragione nel dire che la radice grossiana non è così preponderante, anzi, io vedo Albert legato a un mondo analogico, manuale, finanche tattile direi. Perché è un pioniere, perché riflette su elementi capitali per lo sviluppo futuro, musica su supporto si/no, il rapporto silenzio/rumore, la relazione con le macchine: fammi citare il lavoro Tape for Live Musicians, del ’71, che ho interpretato diverse volte e in cui si riflette sui rapporti tra partitura e supporto magnetico, tra performer e magnetofono: è il tentativo, secondo me riuscito, di Mayr di costruire prima la parte elettronica, con la partitura stessa inclusa sul supporto e una musica che non è subordinata ad azioni scritte. Questo lo avvicina a Cage o a Kagel, dove è l’interprete che contribuisce a costruire l’opera. Dal suono e da questo suo interesse, ontologico diremmo, nasce la passione per il paesaggio sonoro: il libro di Schaefer The Tuning of the World l’ho visto per la prima volta sulla sua scrivania, oggi non si parla altro che di soundscape ma allora era pionierismo puro». 

Adesso dimmi se nel tuo lavoro così variegato e articolato con i tuoi gruppi di improvvisazione, trovi elementi che risalgano a Mayr. 

«Mi occupo di improvvisazione elettroacustica, e nei lavori ‘aperti’ di Albert ritrovo moltissimi cromosomi, forse dall’esterno si vedono poco, ma pensiamo anche che sono passati 50 anni. Guarda, potremmo terminare con una definizione: secondo me figure come Grossi, Mayr, Camilleri, sono state fondative di una scuola elettronica fiorentina poliedrica, che non va in un’unica direzione, che non ha un manifesto, ma in cui tutti sono accomunati da un forte spirito di ricerca». 

Francesco Gesualdi è un fisarmonicista italiano, concertista con all’attivo collaborazioni in prestigiose istituzioni italiane ed europee, sia in ambito cameristico, che con orchestre, e con rilevanti istituzioni dedite alla ricerca nella musica elettronica. Ha realizzato prime esecuzioni assolute di celebri compositori - oltre 100 première - la maggior parte delle quali a lui dedicate. Da 10 anni è impegnato nella direzione musicale dell'ensemble GAMO, in programmi inediti e del repertorio tradizionale della musica contemporanea. 

Partiamo dall’ultima stagione del GAMO, dal concerto di fine novembre dedicato ad Albert Mayr. Ce ne vuoi parlare? 

«Albert resta fondamentale per l’associazione che dirigo, non posso fare a meno di ricordare il momento storico in cui insieme a Giancarlo Cardini, Liliana Poli, Vincenzo Saldarelli, Massimo De Bernart veniva fondato il Gamo, le aspirazioni e il momento esaltante, la volontà entusiasta con cui ci si proponeva di diffondere la Nuova Musica, esperienza della quale fin da subito fecero parte altri musicisti come Roberto Fabbriciani, Ciro Scarponi, Fernando Grillo. 

Del concerto di novembre ho un ricordo purtroppo molto doloroso, Albert non lo ha seguito particolarmente da vicino proprio perché aveva una situazione di salute già molto compromessa. 

Quando sono entrato nell’associazione e poi ne ho preso la direzione, Mayr se ne era già un po’ allontanato e io avevo come amico e compagno di conversazioni soprattutto Cardini, che mi raccontava spesso nel dettaglio i trascorsi delle esperienze Gamo maturate nel tempo. 

Mi hanno, però, sempre colpito il riserbo e l’attenzione di Albert, e anche le parole di apprezzamento che ha avuto per il mio lavoro dentro e fuori l’associazione. Albert frequentava spesso i nostri concerti, venne anche a quello per gli 80 anni di Cardini, fra l’altro, nell’annus horribilis, a porte chiuse e in streaming». 

Mi è piaciuta del vostro concerto l’idea di accostare lavori di Mayr ad altri di giovani compositori, l’intento era anche di creare un dialogo fra differenti generazioni? 

«Sì, in quel programma coprodotto dal Festival Spazio Musica di Cagliari il suo lavoro e le sue riflessioni su una originale estetica del tempo e dello spazio ci sono sembrate centrali, per questo abbiamo scelto Simultaneità 2, i brani acusmatici, e i Dauernstücke eseguiti dal vivo, e poi abbiamo coinvolto giovani compositori di musica elettronica, ciascuno con il proprio modo di costruire intorno a questi temi. Abbiamo invitato a meditare su questa frase che traggo dal libro di Mayr Zeitarbeiten/Sul tempo: «Non esiste ancora un’estetica del tempo al di fuori delle arti temporali riconosciute, musica, teatro, danza, film, performance, il mio approccio dunque non poteva che essere diversificato nelle modalità e nelle tecniche impiegate.» 

Adesso chiedo al direttore artistico Gesualdi: potrebbero brani di Albert Mayr, sia concettuali come installazioni e performance, che compositivi in senso più tradizionale, essere rivisitati e riproposti nei vostri cartelloni? 

«Sì certo, per me è sommamente interessante e stimolante ricordarlo e proseguire i temi esplorati dal suo lavoro». 

Riferimenti 

Albert Mayr, Zeitarbeiten, A tempo, 1977-2007, AlefBet Albert Mayr, Per un concetto allargato di musica, a cura di C. Chianura, Auditorium 2023 (scritti di A. Mayr, L. Camilleri, L. Monaldi) Albert Mayr, La musica dei tempi, qui