Da poco più di due anni Raffaella Carrà ci guarda dall’alto dei cieli. Almeno fino a quando a Bergamo non si sono decisi a riportarla sulla Terra dedicandole un’opera lirica, Raffa in the Sky, il cui debutto è in programma il 29 settembre al Teatro Donizetti con protagonista Chiara Dello Iacovo. Si tratta di una “Fantaopera in due atti”, biografica ma con un tocco fantascientifico, nata da un’idea di Francesco Micheli, che curerà anche la regia dello spettacolo trasmesso in diretta da Rai5 il giorno della prima dalle 21:15.
A comporre la musica di questa nuova opera, che a Bergamo sarà diretta da Carlo Boccadoro, è toccato a Lamberto Curtoni, nato a Piacenza nel 1987, violoncellista ma attivo anche nella composizione da diversi anni. Sono gli ultimi e frenetici giorni delle prove quando raggiungiamo Curtoni per parlare di questa sua nuova e per molti versi inedita esperienza di compositore.
Come le è venuto in mente di comporre un’opera su un’icona della musica pop come Raffaella Carrà?
«Dal mio editore ho saputo che Francesco Micheli aveva in mente di fare un’opera dedicata alla Carrà. Si trattava di un’idea, non ancora troppo definita. Quando poi ho ricevuto la proposta di comporre le musiche, ho colto questa opportunità con un entusiasmo incredibile e mi sono subito messo al lavoro. Ho sentito Micheli per descrivergli le idee musicali che avevo in mente e lui, con altrettanto entusiasmo, mi ha lanciato nel progetto immediatamente. Eravamo alle prime fasi della creazione, quando la drammaturgia non aveva ancora una forma completamente definita. Quindi posso dire di aver visto nascere Raffa in the Sky e di aver contribuito a questa nascita».
Situazione ideale, quindi, soprattutto nell’interazione con i due autori del libretto Renata Ciaravino e Alberto Mattioli…
«Con i librettisti ma anche con tutti gli artefici del progetto, ci siamo visti più volte e confrontati. I librettisti avevano buttato giù una prima stesura e su quella base ho cominciato a lavorare alla musica. La prima mossa, quindi, è stata della parola in un certo senso. Dopodiché, ho avuto delle necessità che hanno portato a modificare alcune parti del testo, come è fondamentale quando si lavora su un’opera. Si è trattato comunque di una bellissima interazione».
Non crede si tratti di un soggetto un po’ stravagante per un’opera contemporanea?
«Gli esiti li vedremo ma credo che questa operazione sia in linea con la figura della Carrà. Nell’opera si sono spesso portati soggetti piuttosto ingombranti, questa volta, in forma un po’ ludica, torniamo a quello che si è sempre fatto nella storia dell’opera».
Cosa ha trovato più stimolante per il suo lavoro di compositore?
«Innanzitutto, la grande energia di tutti in questo progetto. Poi, una volta conosciuto il soggetto, è stato il senso dell’enorme sfida ad affascinarmi ed entusiasmarmi: un monumento della cultura pop in una forma musicale assolutamente classica. I primi tempi li ho passati studiando le sue canzoni. Inizialmente, quindi, per me si è trattato di conciliare un repertorio assolutamente estraneo con il mondo classico, il mio mondo musicale cioè. Dal punto di vista musicale, credo sia stato questo l’aspetto più stimolante nel mio lavoro».
Il pubblico ritroverà qualcuna delle canzoni che hanno reso celebre la Carrà?
«Ho lavorato su una decina di canzoni, presenti nell’opera per necessità drammaturgiche: ogni nota e ogni parola hanno una loro necessità dal punto di vista della drammaturgia. Quelle canzoni si sono poi trasformate e sono entrare nel tessuto musicale. Lavorando alla musica, il confine, il tratto, fra la musica concepita ex novo e la canzone è diventato via via più labile. È stato questo il gioco: far perdere un po' il contorno della canzone e farla entrare in un contesto assolutamente estraneo alla sua natura e forma originale. A mio avviso, questo è l’aspetto che differenzia questo lavoro da forme più vicine al teatro, come il musical ad esempio, e ne determina la sua caratteristica. Il procedimento che ho seguito ha fatto sì che le canzoni diventassero quasi come arie, come delle apparizioni piuttosto concrete, anche se sottoposte a una trasformazione. In effetti, tutte le canzoni sono presenti in forma di embrioni e si trovano già nelle prime note della sinfonia. E ritornano poi in un continuo processo di modificazione e di crescita, fino a maturare in quella che è la canzone vera e propria. Ma il processo non si arresta lì, poiché evolvono ancora fino a una sorta di disgregazione. Tutti gli elementi delle canzoni, in realtà, vivono e sostengono l’opera stessa».
Ogni opera (o quasi) racconta una storia, com’è il caso di “Raffa in the Sky”: l’ha aiutata o è stato un limite?
«Assolutamente nessun limite! Era già previsto che ci fosse una storia. Dal punto di vista musicale, per me è stato determinante avere dei vincoli, ad esempio sulle canzoni. Confrontarmi con una storia e una drammaturgia costruita su di essa è stato anche stimolante, soprattutto per una riflessione su come portare a un pubblico contemporaneo e in quali termini musicali, un repertorio come quello della Carrà già ben definito musicalmente, e in modo piuttosto esplicito, e secondo una maniera estranea al nostro teatro musicale contemporaneo. Lavorare in questi termini è stata sicuramente una grande sfida e sono curioso di vedere come il pubblico reagirà».
Nel concreto, quali soluzioni ha adottato?
«Raffa, la protagonista, arriva dal pianeta dell’arte, Arkadia. Il re del pianeta è suo padre Apollo XI, che si esprime secondo forme musicali antiche: le sue apparizioni, infatti, prevedono la presenza del clavicembalo, che accompagna i recitativi. Sul pianeta Terra, c'è una famiglia italiana, che compie un percorso dal sud al nord per esigenze lavorative. Questi si esprimono secondo modalità proprie della musica popolare o folkloristica. Come elemento caratterizzante per loro, ho scelto il suono della fisarmonica. In generale, ogni personaggio dell’opera è fortemente caratterizzato a livello musicale e di sonorità: l’intreccio delle molte storie parallele sviluppate nel soggetto, si riflette anche nell’intreccio di suoni associati ad ognuno».
Sarebbe stata contenta la Carrà di quest’opera dedicata a lei?
«Sono convinto che la Carrà sarebbe stata molto curiosa del risultato. Credo che, per la sua natura, come personaggio pubblico e come artista, un'opera lirica non sia assolutamente lontana dal suo pensare. Abbiamo voluto portare Raffa in un mondo di suoni più tradizionale, senza strumenti elettrici, come la chitarra o il basso, per vedere come la sua personalità di artista possa essere riscritta. Se si vuole, è un nuovo punto di osservazione del suo repertorio».
C’è qualcosa sulla Carrà che ha scoperto lavorando a “Raffa in the Sky”?
«Una cosa che non avevo mai fatto era leggere i testi delle sue canzoni senza la musica. Effettivamente ho scoperto delle cose molto interessanti, soprattutto se ripensiamo agli anni in cui furono scritte. Ci ho trovato una voglia di innovazione.
Analizzando la musica, poi, ho trovato delle affinità con certe forme antiche. In una canzone, in particolare, c'è un basso di ciaccona che fa pensare alla musica di Monteverdi. Non farò spoiler perché nell’opera gioco anche con questi elementi. È molto interessante come le fondamenta di generi musicali così lontani siano le stesse ma con esiti diversi. Da compositore, credo sia giusto “sporcarsi le mani” con repertori anche assai lontani, perché gli esiti possono essere interessanti o quanto meno divertenti. Sono dei giochi, ecco».
Ma lei era un fan della Carrà?
«Ho trentacinque anni e quindi le prime volte che ho visto la Carrà in televisione era già nell'ultima fase della sua carriera. Come tutti, le sue canzoni le conosco perché sono tatuate nel DNA di noi italiani. È interessante come gli autori di quelle canzoni con pochissimi elementi musicali, con una sintesi davvero estrema, siano stati capaci di rendere iconici degli intervalli, una battuta, dei gesti musicali piccolissimi. C'è una riflessione molto interessante dal punto di vista musicale su come questi autori abbiano saputo dare una connotazione con pochissimi elementi a un personaggio diventato glorioso interpretando quelle canzoni. Noi musicisti di formazione classica costruiamo forme musicali basate su una articolazione, una estensione orizzontale nel tempo, molto più ampia, che chiama in causa anche più elementi per essere completa. Gli autori delle canzoni, invece, con la loro capacità di sintesi, arrivano subito al dunque».
Lamberto Curtoni nasce come violoncellista e diventa operista: era il suo sogno segreto?
«Ho già scritto un’opera da camera, Il ritmo della terra. Questo lavoro è nato da un bisogno personale ma credo di aver incarnato un’esperienza che ha toccato tutti, come il lockdown. Ho sentito l’esigenza di trasformare quell’esperienza in una composizione musicale per ripensare al nostro modello di vita fino a poco prima che scoppiasse la pandemia. In quel lavoro c'è un unico personaggio, da solo, come eravamo tutti soli in quel periodo, che si esprime attraverso i versi di Mariangela Gualtieri. Raffa in the Sky è completamente diversa: è un’opera con la O maiuscola. Ogni soggetto ha necessità diverse, anche musicali nel senso più ampio e pone sfide diverse a noi compositori. Se ci sarà ancora opera nel mio futuro? Forse. Sono certamente curioso di vedere se mi capiterà di ricevere qualche altro libretto che mi manderà “in the sky”. Quello con Raffa in the Sky è stato davvero un amore a prima vista».