Quote radio sì quote radio no? L’uscita dell’ex direttore di Radio Padania (ora presidente della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera) Alessandro Morelli sull’opportunità di riservare un terzo del palinsesto radiofonico alla musica italiana aveva fatto discutere, qualche giorno fa, anche per dichiarazioni che ricordavano molto da vicino analoghe iniziative del periodo fascista (ne ho parlato diffusamente qui).
In breve: Morelli è il primo firmatario di una proposta di legge dal titolo “Disposizioni in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana”. La proposta, che vorrebbe rifarsi a esperienze analoghe in altri Paesi (su tutti la Francia, che da anni prevede un sistema di quote radio), sembrava fino a ieri destinata a essere archiviata come una boutade. Morelli, in effetti, ci aveva messo del suo, appoggiandosi all’assurda indignazione popolare per il caso televoto-Ultimo-Mahmood a Sanremo per rivendicare la necessità di una quota italiana in radio (come se Mahmood non fosse un artista italiano prodotto in Italia) e accusando «lobby e interessi politici».
«La vittoria di Mahmood all’Ariston dimostra che grandi lobby e interessi politici hanno la meglio rispetto alla musica» (Alessandro Morelli).
Poco dopo, lo stesso Salvini sembrava aver ufficialmente disconosciuto il collega di partito dichiarando a RTL che «Ogni radio fa il suo palinsesto» e che «non sarà il Parlamento a decidere che musica va in onda su RTL 102.5, ovviamente».
La storia però non è finita. La SIAE aveva inizialmente appoggiato con una dichiarazione a favore della proposta del Direttore Generale Gaetano Blandini («Il repertorio musicale va considerato come un patrimonio nazionale»). E ora ribadisce il punto: in una comunicazione via mail agli associati spedita il 26 febbraio (oggetto: “La radio canta l'Italia”) il presidente della SIAE Giulio Rapetti – più noto come Mogol – è tornato infatti sul tema, invitando tutti a «contribuire a questa battaglia per la valorizzazione della nostra musica nelle radio».
Ecco il testo completo della comunicazione di Mogol e della SIAE (che è corredata – perché c’è sempre un lato ironico – di un buffo PDF tricolore scritto in Comic Sans, per dimostrare che fanno sul serio).
Cari Associati,
da qualche settimana si parla molto di una proposta di legge dal titolo "Disposizioni in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana". L'Onorevole Alessandro Morelli, Presidente della Commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera, che ne è il primo firmatario, chiede "che le emittenti radiofoniche, nazionali e private debbano riservare almeno un terzo della loro programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione", e inoltre che una quota "pari almeno al 10 per cento della programmazione giornaliera della produzione musicale italiana sia riservata alle produzioni degli artisti emergenti".
La proposta di legge richiama altri esempi in Europa, come il sistema delle quote,utilizzato da molto tempo in Francia, dove dal 1994 le radio sono obbligate a trasmettere musica francese per una percentuale pari almeno al 40% della programmazione giornaliera.
L'argomento è ampio e complesso ed è stato già affrontato in passato con diverse proposte, tra cui quella avanzata dalla FIMI nel febbraio 2016 che chiedeva di garantire il 20% della programmazione radiofonica alle opere prime e seconde di artisti italiani e con l'intervento nel novembre 2017 dell'allora Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini che in apertura della Milano Music Week parlò della possibilità di prevedere quote di obbligatorietà di trasmissione della musica italiana grazie ad alcune norme introdotte nella nuova Legge dello spettacolo.
«Qualsiasi vostra iniziativa sarà preziosa affinché si affermi il principio che la musica italiana fa parte del nostro patrimonio culturale e in quanto tale va valorizzata e difesa» (Mogol).
In base ai nostri dati medi di ripartizione dei diritti d’autore, relativi al periodo 2010-2017, su dieci stazioni radiofoniche, soltanto quattro rispetterebbero la soglia del 33% della proposta di legge dell'Onorevole Morelli. Tale iniziativa avrebbe dunque un impatto positivo sul mercato radiofonico italiano, generando maggiori introiti in diritti d'autore e in diritti connessi e contribuendo ad aumentare la quantità di musica prodotta in Italia. Come sapete, promuovere la musica italiana significa infatti sostenere l'industria culturale del nostro Paese e quindi le tante persone che ci lavorano.
Per questo motivo chiedo a tutti voi di contribuire a questa battaglia per la valorizzazione della nostra musica nelle radio. Qualsiasi vostra iniziativa sarà preziosa affinché si affermi il principio che la musica italiana fa parte del nostro patrimonio culturale e in quanto tale va valorizzata e difesa.
Si tratta dunque di una presa di posizione netta, a favore della proposta di legge leghista sulle quote radio “tricolori”. Una presa di posizione legittima, ovviamente, dato che la SIAE deve (o dovrebbe) lavorare a favore dei suoi associati, e dato che (secondo quanto afferma Mogol) tale proposta potrebbe portare a un «impatto positivo» in termini di diritti.
Tuttavia, al netto dell’eterno e inquietante ritorno di progetti nazionalistici e finto-tradizionalisti, è davvero questo di cui ha bisogno il settore musica italiano?
Come facevo notare qui, una legge in questi termini, senza correttivi, applicata all’attuale sistema di rotazione radiofonica, rischierebbe di marginalizzare ulteriormente la coda lunga di musicisti di generi che non passano abitualmente in radio perché non sono sotto contratto con un grosso editore musicale: i musicisti di jazz, di canzone d’autore, di buona parte del rap, di elettronica…
Chi beneficerebbe, di un sistema di quote riservate agli italiani? Beh, ovviamente i grandi elettori della Siae, quel gruppo di autori ed editori che già rastrellano la maggior parte delle ripartizioni, e che da ricchi diventerebbero più ricchi.
Non è una faccenda che va liquidata in poche righe, ovviamente, ed esigerebbe analisi più approfondite con il disegno di legge definitivo alla mano. È certo ovvio che una maggiore crescita generale degli introiti – se amministrata in maniera virtuosa – potrebbe portare a una generale crescita del settore (gli introiti potrebbero per esempio ridistribuiti in forma di bandi, come già di fatto avviene da qualche anno in SIAE).
Rimane però il dubbio che una proposta fondata su presupposti così ingenuamente sciovinisti, su slogan così generici e (perdonate) paraculi come “Promuovere la cultura italiana” o “Valorizzare i giovani talenti” (che il Comic Sans del PDF rende a tratti surreali) sia quello di cui ha bisogno un settore in difficoltà e alla disperata ricerca di aiuti (non drogati da ideologie nazionaliste e interessi di comodo) come è oggi quello musicale in Italia.