Teatro della vista e dell’udito. La musica e i suoi luoghi nell’età moderna (LIM 2017, 113 pp. 25€) raccoglie quattro saggi, rielaborazione e aggiornamento di relazioni presentate da Arnaldo Morelli in occasione di convegni internazionali svolti in diversi paesi europei dal 2003 al 2017, e costituisce un interessante e originale contributo alla conoscenza del rapporto tra la prassi musicale e gli spazi architettonici fra Cinquecento e Seicento.
Il primo capitolo prende in esame la posizione degli organi e dei cantori all’interno di alcune importanti chiese di diverse città italiane, mostrando come l’esigenza di eseguire le nuove musiche polifoniche del Cinquecento spingesse i cantori a disporsi anche al di fuori dello spazio del coro, il luogo tradizionalmente preposto alla intonazione della musica liturgica, per essere più visibili dalla assemblea dei fedeli. La collocazione dei poggioli delle cantorie e dei pergoli dei musici è documentata attraverso le descrizioni contenute in documenti dell’epoca e dai dettagli delle fonti iconografiche che comprendono foto, miniature e dipinti.
Il secondo capitolo è dedicato alla musica da camera eseguita nei palazzi nobiliari della Roma del Seicento, che contiene riferimenti anche ad altre città, come Parma, Ferrara e Padova. Negli appartamenti dei palazzi aristocratici la musica era di casa, e fra questi in alcuni casi sistematicamente coltivata, come nella residenza della regina Cristina di Svezia, a palazzo Riario alla Lungara, dove esisteva una “stanza dell’Accademia” e una sala grande di rappresentanza per eventi di maggior prestigio; o nel Palazzo della Cancelleria dove il cardinale Pietro Ottoboni ospitava la sua accademia letteraria e musicale, e vennero eseguiti importati oratori. Anche nel Palazzo dei principi Borghese, in Campo Marzio, e dei Pamphilj affacciato su Piazza del Collegio Romano, venivano eseguite musiche sacre, devozionali e spirituali, oltre che profane, tra quadri, arazzi e manufatti artistici vari, oltre che collezioni di strumenti musicali.
A conclusione del saggio Morelli ipotizza che l’affascinante dipinto di Johann Heinrich Schönfeld scelto per la copertina del libro, Musikalische Unterhaltung, conservato a Dresda, possa rappresentare un intrattenimento musicale svolto in un palazzo principesco romano durante uno dei soggiorni del pittore tedesco nella città, sotto la protezione di Paolo Giordano Orsini.
Il terzo capitolo è dedicato alla musica nelle chiese di Roma nell’epoca barocca, e alla prassi policorale che raggiunse l’apogeo durante il pontificato di Gregorio XIII e di Sisto V. Questa prassi differiva da quella dell’Italia settentrionale, per l'autonomia di ciascuno dei cori dislocati nelle cantorie degli edifici sacri, cori che erano dotati dello stesso numero di parti vocali e venivano guidati da una serie di aiutanti del maestro di cappella, che replicavano simultaneamente il suo battere il tempo. Una interessante testimonianza di questa pratica è contenuta in un passaggio di un testo del musicista francese André Maugars, che soggiornò a Roma nel 1638, in riferimento alla solenne esecuzione di un vespro per la festa di San Domenico nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva.
L’ultimo capitolo è dedicato alla prassi musicale della Cappella Sistina, e anche in questo caso le testimonianze di viaggiatori, trattatisti e cantori di diverse epoche servono a mettere in evidenza le sue caratteristiche, in questo caso fortemente conservative. La polifonia a cappella che si identifica con la cosiddetta scuola romana, e con il contrappunto osservato appartiene alla storia del cerimoniale della corte romana della Cappella Pontificia e rimanda alla figura di Palestrina e all’ideale musicale rinascimentale che rappresentava un valore universale, circondato dall’aura del capolavoro di Michelangelo.