Era un appuntamento molto atteso, quello promosso il 27 novembre a Faenza dal Coordinamento Nazionale Scuole di Alta Formazione Jazz (CONSAF) in margine al Mei. Tre istituzioni private - la Fondazione Siena Jazz, il Saint Louis Music College di Roma e l'Associazione Musica Oggi di Milano - avevano invitato ospiti istituzionali: Bruno Civello, Direttore generale del Ministero dell'Istruzione, e Roberto Morese, Segretario del CNAM, stesso ministero, una ampia rappresentanza di coordinatori di corsi di jazz nei Conservatori e alcuni ospiti dall'estero. Obiettivo: iniziare a fare il punto sulla confusa situazione istituzionale (e a volte didattica) in cui versa l'Alta Formazione Jazz in Italia. Che fossero istituzioni private a promuovere un tale incontro la dice lunga sullo stato di chiusura, o inerzia, in cui versa il settore pubblico in questo momento.
L'incontro faentino, scandito dalle esecuzioni di gruppi provenienti da alcune di queste scuole, ha sofferto di assenze giustificate (il coordinatore di Amsterdam, ad esempio) e ingiustificate (le istituzioni in toto) ma si è rivelato, nella sua informale vivacità, di notevole importanza. Attraverso gli interventi di Franco Caroni (Siena Jazz) e Stefano Mastruzzi (Saint Louis) ci si sono chiariti gli scopi e i limiti del "processo di Bologna": gli scopi sono quelli di favorire la standardizzazione dei criteri di valutazione e quindi la mobilità di studenti e docenti in tutta Europa; i limiti sono quelli dell'uniformità della didattica e di una sconcertante genericità dei parametri adottati. Mastruzzi ha giustamente notato che senza una didattica propedeutica, del tutto assente in Italia, non solo l'Alta Formazione non ha senso, ma non si può costruire una didattica sana, che parte da basi comuni per tutti e procede gradualmente verso una specializzazione creativa e non uniformata.
La testimonianza del chitarrista Edoardo Righini, da anni docente di chitarra jazz in tre conservatori olandesi, e il conseguente confronto con la situazione italiana, ha acceso la miccia del dibattito. In particolare Nicola Pisani (Conservatorio di Cosenza) ha bene riassunto le varie questioni sul tappeto: 1) non spariamoci addosso: «in molti Conservatori si lavora in modo eccellente, anche nel sud, il livello degli allievi è molto alto e nei paesi nordici sono molto più indietro di noi sull'adeguamento europeo»; 2) come si evince dalla relazione di Righini, il problema dell'Italia è che il numero di ore di lezione - ad esempio di strumento jazz - è dieci volte inferiore a quello olandese. «Allora - si è chiesto Corrado Guarino (Brescia) - come si possono equiparare i titoli olandesi e quelli italiani?» 3) C'è un problema di risorse: in Italia l'investimento statale è largamente insufficiente e in più gli studenti pagano per studiare (cosa che non avviene in Olanda). Come si pretende di entrare in Europa a costo zero? Inoltre sul nostro paese gravano voci confuse di riduzione del numero di Conservatori, istituzione di Licei Musicali fantasma, politica contraddittoria nei confronti dei privati (fai come vuoi ma solo come diciamo noi...) che impediscono di guardare al futuro con chiarezza. Mancava l'interlocutore, il Ministero appunto, ma il CONSAF ha promesso di rendere fisso questo appuntamento, cosa che - si spera - consoliderà il fronte di docenti e operatori, pubblici e privati, che lavorano con formidabile passione, competenza e dedizione a sviluppare la creatività dei nostri musicisti.
L'incontro faentino, scandito dalle esecuzioni di gruppi provenienti da alcune di queste scuole, ha sofferto di assenze giustificate (il coordinatore di Amsterdam, ad esempio) e ingiustificate (le istituzioni in toto) ma si è rivelato, nella sua informale vivacità, di notevole importanza. Attraverso gli interventi di Franco Caroni (Siena Jazz) e Stefano Mastruzzi (Saint Louis) ci si sono chiariti gli scopi e i limiti del "processo di Bologna": gli scopi sono quelli di favorire la standardizzazione dei criteri di valutazione e quindi la mobilità di studenti e docenti in tutta Europa; i limiti sono quelli dell'uniformità della didattica e di una sconcertante genericità dei parametri adottati. Mastruzzi ha giustamente notato che senza una didattica propedeutica, del tutto assente in Italia, non solo l'Alta Formazione non ha senso, ma non si può costruire una didattica sana, che parte da basi comuni per tutti e procede gradualmente verso una specializzazione creativa e non uniformata.
La testimonianza del chitarrista Edoardo Righini, da anni docente di chitarra jazz in tre conservatori olandesi, e il conseguente confronto con la situazione italiana, ha acceso la miccia del dibattito. In particolare Nicola Pisani (Conservatorio di Cosenza) ha bene riassunto le varie questioni sul tappeto: 1) non spariamoci addosso: «in molti Conservatori si lavora in modo eccellente, anche nel sud, il livello degli allievi è molto alto e nei paesi nordici sono molto più indietro di noi sull'adeguamento europeo»; 2) come si evince dalla relazione di Righini, il problema dell'Italia è che il numero di ore di lezione - ad esempio di strumento jazz - è dieci volte inferiore a quello olandese. «Allora - si è chiesto Corrado Guarino (Brescia) - come si possono equiparare i titoli olandesi e quelli italiani?» 3) C'è un problema di risorse: in Italia l'investimento statale è largamente insufficiente e in più gli studenti pagano per studiare (cosa che non avviene in Olanda). Come si pretende di entrare in Europa a costo zero? Inoltre sul nostro paese gravano voci confuse di riduzione del numero di Conservatori, istituzione di Licei Musicali fantasma, politica contraddittoria nei confronti dei privati (fai come vuoi ma solo come diciamo noi...) che impediscono di guardare al futuro con chiarezza. Mancava l'interlocutore, il Ministero appunto, ma il CONSAF ha promesso di rendere fisso questo appuntamento, cosa che - si spera - consoliderà il fronte di docenti e operatori, pubblici e privati, che lavorano con formidabile passione, competenza e dedizione a sviluppare la creatività dei nostri musicisti.