Nathan Fake
Providence
Ninja Tune
Altri fattori segnalano il momento di svolta, a cominciare dal passaggio dall’etichetta discografica che ne aveva divulgato finora le produzioni, la Border Community dell’amico e collega James Holden, alla maggiormente nota e influente Ninja Tune. E poi l’utilizzo totalmente inedito del canto, benché in piccole dosi e per bocca altrui: lo statunitense Dominick Fernow, alias Prurient e/o Vatican Shadow, e la connazionale Raphaelle Standell-Preston.
La metamorfosi è completata in maniera coerente dal mutamento dello scenario sonoro: se in passato Fake confezionava musica riferita comunque a un contesto “dance”, ancorché in senso avventuroso, Providence tende ad allontanarsene per esplorare la frontiera dell’avant-garde elettronica. Negli episodi più convincenti, ad esempio l’euforico e solenne “HoursDaysMonthsSeasons”, dove i codici della techno vengono rimodellati con intenzione astrattista, l’effetto è sorprendente.
E lo stesso accade nelle due circostanze in cui affiora – distorta, spaesata e, nel primo caso, quasi inintelligibile – la voce umana: “Degreeslessness”, resa definitivamente aliena da ciò che pare l’ectoplasma di un arpeggio di chitarra (replicato nella cupa “SmallCityLights”), e “RVK”, nella quale l’idea di ambient music sfocia in un’insolita declinazione “hardcore”. Morale: un disco sinceramente imperfetto, attestazione inequivocabile di talento in movimento.