Giangiorgio Satragni
Il Parsifal di Wagner
Torino, EDT 2017, pp 224, € 26
Questo volume sul Parsifal, non molto ponderoso ma estremamente denso e pregnante, viene ad aggiungere nuove prospettive alla sterminata bibliografia wagneriana e fa onore alla musicologia italiana. Come dice l’autore stesso, questo libro è l’esito di riflessioni e approfondimenti durati anni, e culminati nelle ricerche condotte presso le università di Torino e di Berlino, e si è giovato anche della sua esperienza di critico musicale, cresciuto sia nelle biblioteche sia nei teatri.
Giangiorgio Satragni riporta al centro dell’attenzione un aspetto molto discusso dell’estremo capolavoro di Wagner: la sua religiosità. All’indomani della prima rappresentazione a Bayreuth nel 1882 tutti ritennero evidente che si trattasse di «un rito incentrato sulla redenzione, con una sacralità promanante dal Graal, un cerimoniale liturgico e aspetti mistici impregnati di cristianesimo». Una prova a contrario la offre il ripudio di Wagner da parte di Nietzsche, che fu provocato, come è ben noto, proprio da tale “conversione” del compositore al cristianesimo.
Oggi queste implicazioni religiose sono spesso ignorate o, peggio, considerate un fardello inutile e perfino nocivo per il Parsifal, come dimostra la quasi totalità delle regie più recenti, che eliminano ogni simbologia cristiana da questa «sagra scenica sacra» e la trasformano in qualcosa di diverso. Ma ora il musicologo torinese torna a mettere sotto la lente d’ingrandimento questo lato religioso, che è un punto centrale del Parsifal, di cui negli ultimi anni del diciannovesimo secolo e nei primi dal ventesimo si erano occupati anche i teologi.
Questo studio non ignora quegli ormai antichi contributi di uomini di chiesa né quelli più recenti (anche uno dei più noti teologi della nostra epoca, Hans Küng, ha rivolto la propria attenzione al Parsifal) ma si basa su un bibliografia molto più ampia, che abbraccia tutto quel che di più valido è stato scritto dal 1882 a oggi in tedesco, inglese, italiano e francese: questo va sottolineato, perché alcuni musicologi, soprattutto anglofoni, mettono nella bibliografia quasi esclusivamente testi scritti in un’unica lingua (la loro).
Satragni procede dunque in un continuo e serrato dialogo con gli autori degli interventi più recenti e più importanti su Wagner in generale e sul Parsifal in particolare, ma per formarsi un proprio autonomo giudizio va direttamente alle fonti, tra cui il libretto (e la letteratura medioevale che ne è all’origine) e gli scritti dello stesso Wagner e di quanti furono a diretto contatto con lui. Tra questi ultimi sono particolarmente interessanti Heinrich Porges, maestro collaboratore alla prima rappresentazione nel 1882 e autore di un resoconto che riporta le indicazioni musicali e sceniche date da Wagner agli interpreti, e Felix Mottl, che pure fu presente alle recite di Bayreuth e che nella sua riduzione del Parsifal per pianoforte riporta molti dettagli di quella esecuzione: due testimonianze del massimo interesse eppure poco note in Italia, se non forse agli specialisti.
Ma Satragni considera giustamente la musica più eloquente e più significativa delle parole ed è quindi nella musica che cerca la conferma definitiva alla propria tesi, attraverso un’analisi minuziosa e acuta di quei momenti cruciali in cui emergono gli aspetti religiosi del Parsifal. La sua analisi è attenta anche all’armonia e alla sonorità orchestrale ma si rivolge principalmente ai motivi conduttori e alla fitta trama di significati da loro veicolati. Attraverso la sua indagine critica dei Leitmotiv, che supera totalmente il carattere didascalico e schematico delle vecchie guide tematiche pubblicate a cavallo tra Ottocento e Novecento, Satragni giunge a scoprire nella partitura una densa serie di riferimenti ai vangeli e alla dottrina cristiana, talmente precisi da permettergli di individuare anche cosa Wagner prenda dalla dottrina protestante e cosa dal rito cattolico. In questo l’autore dimostra anche delle competenze teologiche che normalmente i musicologi non possiedono. Ma naturalmente non riduce nel modo più assoluto il Parsifal a un manifesto del cristianesimo. D’altronde, Wagner stesso affermò che «là dove la religione diventa artificiosa, tocca all’arte salvare il nucleo della religione, cogliendo nel loro valore simbolico i simboli mitici […] al fine di far riconoscere mediante la loro rappresentazione ideale la profonda verità in essi nascosta». Satragni cita queste parole già nelle prime pagine del suo studio, quando mette anche in rilievo come Wagner dia una propria personale interpretazione della figura e dell’insegnamento di Gesù. Né vengono ignorati i punti di contatto con il buddismo e con il pensiero di Schopenauer.
Come accennato all’inizio, si è in presenza di un volume molto denso, che non è assolutamente possibile schematizzare e ridurre ad alcuni enunciati. Va letto con attenzione, e allora sarà un viaggio affascinante e ricco di scoperte nell’universo wagneriano. Questo viaggio sarà più consapevole se si terrà una partitura a portata di mano, ma sarà anche sufficiente seguire il discorso di Satragni con il supporto di un’edizione discografica del Parsifal.