Il volume Works For Flute, di recente pubblicazione per Naxos, è dedicato ai lavori per flauto del compositore bresciano Camillo Togni, e conferma l’originalità del suo percorso creativo. Lo abbiamo approfondito nell’intervista al flautista Roberto Fabbriciani, protagonista di tutte le tracce.
Rigoroso, intransigente, ascetico, severo, solitario. Basta fare un minimo di ricerche su Camillo Togni (1922-1993) per scoprire che questi aggettivi a lui riferiti si ripetono regolarmente. Ma così isolati questi termini poco ci dicono o comunque ci potrebbero portare fuori strada. Due elementi vanno subito sottolineati per avvicinare il percorso del compositore bresciano: la tecnica dodecafonica e la poesia.
La dodecafonia per Togni è stata una illuminazione giovanile che mai tradirà, ma vissuta, sviluppata con un approccio personalizzato, dove la serie da tecnica trasfigura nella ricerca di un ideale sonoro di purezza, in una logica melodica introspettiva, attraverso una scrittura elegante e trasparente. In questo processo la poesia di Georg Trakl gioca un ruolo fondamentale. L’anima oscura, inquieta e tormentata del poeta austriaco si fonde con l’idea di Togni del comporre come una necessità di vita, come costrizione, creazione espressionista come rappresentazione di una condizione umana disgregata e lacerata.
Tutti elementi che ritroviamo in questo prezioso volume Naxos – sono già usciti per questa etichetta anche quattro volumi sui lavori pianistici nella stessa collana “20th Century Italian Classics” – che comprende composizioni che vanno dal 1953 al 1982. Il flauto – decisivo fu l’incontro a Darmstadt di Togni con Gazzelloni nel 1951 – da solo, in duo, accompagnato dall’orchestra d’archi, è protagonista assoluto, voce narrante di un percorso unico, che fuori da mode, isolato da tendenze, scrive un capitolo importante della contemporanea italiana.
Altrettanto protagonista, sappiamo quanto decisivo sia il ruolo dell’interprete in queste partiture, il flauto di Roberto Fabbriciani, al quale abbiamo chiesto di approfondire alcuni aspetti del suo rapporto con il compositore e delle sue opere.
Il volume Works for Flute sottolinea il profondo interesse di Togni per la poetica del flauto. Nel 1977 eseguisti a Napoli per primo i suoi Five pieces for flute and guitar, lì inizia tra voi un vivace scambio umano e artistico. Ci puoi raccontare questa vicenda.
«La mia amicizia con Camillo Togni risale alla fine degli anni sessanta, quando intrapresi con lui gli studi di composizione. Togni era musicista molto colto e raffinato, amava l’arte e aveva studiato pianoforte con Alfred Cortot e Arturo Benedetti Michelangeli. Ottimo pianista, abbiamo suonato assieme in concerto in importanti stagioni. In quegli anni ebbe inizio anche il progetto Blaubart, che mi vide flauto e voce recitante al Teatro alla Scala nel 1978».
«La gestazione dei Five Pieces for flute and guitar inizia nei primi anni settanta. Nel 1975 ho eseguito i tre brani per flauto solo in varie occasioni come preludi, in seguito Togni aggiunse i due brani per flauto e chitarra. Questi brani alternati divennero Five Pieces for flute and guitar. La prima esecuzione del lavoro così completato fu nel 1977 al Festival di Napoli Nuova musica e oltre, organizzato da Mario Bortolotto».
Quali aspetti interpretativi pongono le sue partiture al tuo strumento?
«Le sue partiture impongono grande severità interpretativa. La sua scrittura è precisa e dettagliata. L’interprete deve confrontarsi con un segno dove tutto è calcolato e coniugato a respiro ed espressività».
L’adesione giovanile alla dodecafonia ha segnato costantemente il percorso compositivo di Togni, mi pare però che in Fantasia concertante del 1957, l’ultima traccia del cd, convivano aspetti strutturali ed espressivi che se ne allontanano.
«La Fantasia concertante è esempio di quanto appena detto, richiede all’interprete rigore tecnico, virtuosità e creatività. Ne è stato ispiratore Severino Gazzelloni. Un errore dare di Togni una lettura pensando solo ad altezze e serie, la sua italianità si esprimeva in un innato senso per la melodia. Del resto anche Dallapiccola e Maderna posero l’accento sull’aspetto melodico e sul fraseggio di una serie. Serie trattate come melodie per una espressività che contraddistingue la mentalità e la scuola italiana».
Con il tuo strumento hai attraversato gran parte del repertorio contemporaneo. È possibile fare un confronto tra il flauto secondo Togni rispetto, per esempio, a Scelsi e Nono?
«Ho imparato molto dal mio amico-maestro Camillo Togni nella analisi dei dettagli e nel controllo assoluto del suono. Questo sicuramente mi è stato di aiuto anche nell’interpretazione delle partiture di Scelsi e Nono. Se Togni ha sviluppato in un senso molto personale ed espressivo la serie, Scelsi e Nono, partendo dalle stesse conoscenze ed esperienze hanno navigato verso ulteriori lidi distaccandosi, nella maturità, dalla scrittura seriale. Scelsi cercando sonorità orientali e mistiche e fondendole con la musica colta occidentale. Nono lavorando sui colori e le dinamiche oltre che sulle tecniche di emissione del suono e fondendole con le innovazioni tecnologiche derivanti dall’uso dell’elettronica».