I tanti mondi di Ada Rovatti

Intervista con la sassofonista italiana, attiva sulla scena newyorkese

Ada Rovatti
Articolo
jazz

Tra le musiciste jazz italiane che hanno scelto di lavorare all’estero, il nome di Ada Rovatti è certamente tra gli esempi più interessanti. Sassofonista e compositrice, ha trovato sulla scena americana stima e continuità, suonando con nomi di grande prestigio, da Mike Stern, a John McLaughlin, passando per Bob Mintzer, Joanne Brackeen, James Moody e molti altri, nonché collaborando stabilmente con Randy Brecker, suo compagno anche nella vita.

Abbiamo fatto una chiacchierata con lei in occasione dell’uscita del nuovo disco, The Hidden World of Piloo, un lavoro che vede anche la presenza in alcuni brani di voci come Kurt Elling, la cantante jazz olandese Fay Claassen, la tedesca Alma Naidu e l’esperta voce black Niki Haris. 

Ada Rovatti

Partirei dal nuovo disco, The Hidden World of Piloo. Intanto raccontaci chi è Piloo? E poi come è nato questo lavoro?

«Mi piace il fatto di presentarmi al pubblico in un formato diverso partendo dal nome Piloo. Piloo è il soprannome datomi da mio padre. Era il nome di un gattino dispettoso in un libro che amavo leggere da bambina e quel soprannome mi è rimasto per tutti questi anni… e ho chiamato anche la mia etichetta discografica Piloo Records».

«Come per molti altri artisti, la pandemia ha scatenato una straordinaria gamma di emozioni e la creatività si è sicuramente nutrita di quelle. Il mio progetto si può definire “un figlio” della pandemia. Ha messo in luce una parte più nascosta e vulnerabile di me e ho provato a spingermi in direzioni diverse ed esplorare qualunque talento o arte fosse fuori dalla mia zona di comfort e vedere dove mi avrebbe portato». 

Si sentono molte idee, non solo jazz…

«Questo progetto è chiaramente di impronta jazzistica ma non in tutti i brani l'improvvisazione è il punto focale. La mia idea principale è stata di mostrare altre parti della mia personalità e altre arti che ho appreso nel corso degli anni, dal suonare il flauto, all'arrangiamento degli archi, alla scrittura dei testi fino al controllo di tutte le parti della produzione, l'editing, il design di LP/CD, il servizio fotografico, il trucco e persino gli abiti che indosso sulla copertina sono il mio design e li ho cuciti io stessa. Trovo stimolante avere controllo e conoscenza degli altri aspetti di una produzione». 

«Lavoro quotidianamente sulla mia musica, spendendo tempo sul mio strumento, scrivendo, arrangiando, passando al cucito, al fai da te, alla cucina e all'essere madre e moglie e al cercare di essere un essere umano decente... non ci sono mai abbastanza ore al giorno per fare quello che vorrei». 

In quattro brani hai voluto la collaborazione di voci molto diverse tra loro: da Fay Claassen a Kurt Elling, passando per Alma Naidu che non è molto conosciuta in Italia, ma che in Germania è davvero apprezzata e per un nome di grande esperienza nella black music come Niki Harris. Hai immaginato dal principio le canzoni per la loro voce?

«Originariamente doveva essere un album completamente vocale, ogni brano con un cantante diverso... ma pian piano si è sviluppato con metà brani cantati e metà strumentali e penso che abbia trovato il suo equilibrio perfetto».

«Quando scrivo un brano non penso a chi vorrei lo cantasse, solo alla fine quando il brano è terminato allora mi chiedo chi sarebbe la persona giusta per interpretarlo. Kurt Elling e Niki Harris li conosco da anni e ho avuto l'opportunità di suonare con loro e ho sentito che sarebbero stati perfetti sia come musicisti che come attitudine a fare un duetto. Niki ha una personalità e un’attitudine grintosa e ha una certa saggezza musicale che viene dal Gospel che io cercavo per il brano “Take It Home”».

«Riguardo Fay Claassen, dalla prima volta che la sentii con la WDR Big Band anni fa ho sempre desiderato lavorare con lei, quindi ho preso questa opportunità, una vera professionista  con una conoscenza e controllo della voce unici».

«Alma Naidu è invece giovanissima, è un talento incredibile: ho pensato fosse interessante sentirla cantare in un brano diverso da quello che è il suo solito repertorio e sono rimasta molto colpita dalla sua naturalezza a cantare qualsiasi repertorio».

Mi pare che il disco abbia un chiaro sapore R&B: quali sono gli elementi che tieni centrali quando componi?

«Io sono cresciuta suonando il pianoforte, ascoltando musica classica e tante estati sono passate a Torre del Lago Puccini in Versilia dove la sera si andava ad ascoltare il festival di Puccini. Contemporaneamente, da giovane sono cresciuta sentendo R&B and Blues e solo successivamente mi sono appassionata al Jazz, quindi, questa successione di generi ha sicuramente dettato un modello nel mio lato compositivo».

«Sarò vecchia maniera ma la melodia è per me sempre un punto focale nelle mie composizioni. Poi, chiaramente ci gioco con cambi ritmici e armonie a volte intricate».  

«I miei brani sembrano semplici perché le melodie sono accessibili ma a detta dei musicisti con cui ho lavorato armonicamente e ritmicamente, sono tutt’altra cosa… credo che rappresentino bene la mia personalità… al di fuori semplice  ma in realtà complessa».  

Mi ha colpito quando mi dicevi che oltre alla scrittura e al polistrumentismo, hai anche curato il packaging, la grafica, il servizio fotografico, gli abiti e ogni elemento del disco. E’ un aspetto del tuo carattere o qualcosa che hai imparato in un ambiente così professionale e competitivo?

«Sicuramente è un aspetto del mio carattere. Sono molto curiosa e mi piace capire come le cose funzionano, scoprire e imparare qualcosa di nuovo ogni giorno. Ho sempre pensato che il non sapere fare qualcosa è un limite che mentalmente ci poniamo e se una cosa mi interessa cerco di impararla. La mia nonna diceva sempre ‘impara l’arte e mettila da parte”…e così ho fatto e non si sa mai quando se ne ha bisogno». 

«Insomma tento di far lavorare quella testolina che mi è stata data... finchè funziona». 

Facciamo adesso un salto indietro. Sei ormai negli States da diversi anni e mi piace chiederti come rivedi e ripensi a quei primi anni in cui ti sei spostata dall’Italia. Cosa ti ha attratto, quali le difficoltà…

«Il mio primo passo è stato verso il Berklee College of Music di Boston, Stati Uniti. Ho vinto una borsa di studio ad Umbria Jazz ai corsi estivi del Berklee College e giovanissima mi sono trasferita oltreoceano».

«Non è stata una scelta facile perché all’epoca era ancora abbastanza inusuale andare a studiare all’estero, e in particolare negli Stati Uniti; in più essere una giovane ragazza era ancora più strano... a dire il vero sono sempre stata un po’ una “testa calda” come era solito dire».

«Il Berklee College of Music era considerato il tempio della didattica di jazz e avevo bisogno di trovarmi immersa a 360 gradi in quel tipo di ambiente. Bisogna dire anche che la mentalità americana è sempre stata più aperta e il fatto di essere donna in quell’ambiente era molto piu’ normalizzato che in Italia». 

«Pensando a me ragazza, mi chiedo dove ho trovato il coraggio di fare quel passo… nonostante abbia avuto una famiglia di supporto nelle mie esperienze, sono sempre stata molto indipendente e fin da giovane ho avuto quell’orgoglio di cavarmela da sola». 

Non hai mai pensato di tornare in Italia?

«Dopo l’esperienza americana l’opzione di tornare in Italia non mi allettava, sapevo come l’ambiente era chiuso e avevo paura di rinchiudermi in una “scatola” e ho optato per Parigi che mi sembrava più aperta di mentalità; così è stato, ho avuto incredibili esperienze di lavoro in giro per l’Europa e in Africa». 

«Dopo Parigi ho pensato che avrei dovuto passare per New York che era proprio l’epicentro del Jazz e per la terza volta, tutta sola, ho impacchettato la mia vita e mi sono lanciata nell’avventura newyorkese che tuttora vivo e che ormai chiamo "casa mia"». 
Segui un po’ la scena italiana? Cosa ti piace e cosa pensi potrebbe muoversi su coordinate più efficaci, dal momento che si tratta di un mondo molto sfaccettato?

«Sì, seguo in generale tutta la musica, non solo jazz. E’ un mondo abbastanza complicato e in continuo cambiamento ma rispecchia molto cosa succede nel resto del mondo e non solo dal punto di vista musicale». 

«Trovo che nel commerciale ci sia tanta mediocrità, tanto apparire ma poca sostanza cosa che fino a qualche anno fa il divario non era così ovvio… mi sembra che il gusto del “grande” pubblico e delle nuove generazioni sia nettamente peggiorato… credo che dopo decenni di programmazioni televisive e radiofoniche, etc. da “pattumiera” e seguite dall’ondata dei social, abbiano sfornato un apprezzamento per il “trash” e un appiattimento culturale».

«Allo stesso tempo ci sono degli incredibili talenti e progetti altamente validi ma che purtroppo non arrivano al grande pubblico».
In marzo Michael Brecker avrebbe compiuto 75 anni. Tu hai l’onore e l’onere di avere sostituito Michael nella recente versione dei Brecker Brothers. Quale pensi sia oggi l’eredità di questo magnifico artista?

«L’eredità di Michael è immensa. Non mi piace pensare di avere sostituito Michael, lui era insostituibile. Lui ha dato quella stampo alla band che l’ha resa unica e riconoscibilissima. Mike ha veramente creato una sonorità e uno stile innovativo, non credo che ci sia un sassofonista al mondo che non abbia attinto qualcosa da Michael. Volente o nolente».

«Io ho un affiatamento musicale con Randy simile a quello che lui aveva con il fratello ma come Randy ha spiegato più volte, lui non voleva qualcuno che tentasse di suonare come Michael ma qualcuno che avesse una sua identità e sonorità e affiatamento con lui».

«Sono chiaramente onoratissima di suonare con questa band e interpretare  un repertorio così impegnativo e, anche se non è facile essere sempre confrontata con Michael, è comunque un'esperienza unica». 

Cosa ascolta Ada Rovatti nel tempo libero?

«Ascolto tanta musica classica e in generale po’ tutto. Al giorno d’oggi è così tutto alla portata di mano che è facile saltare da un genere all’altro in un nanosecondo».

Quando ti ascolteremo in Italia prossimamente e quali sono i tuoi prossimi progetti?

«Spero di tornare in Italia presto, ho nostalgia del pubblico italiano e del calore del mio Paese… purtroppo manco dall’Italia da tanto tempo ed è un circuito in cui non è facile entrare, ma spero che questo nuovo progetto porti un po’ di lavoro anche in Italia. Progetti nuovi? Sempre e troppi, continuo a scrivere e studiare e qualcosa potrebbe saltare fuori ……forse un musical».

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

jazz

Per la serie Giant Steps, andiamo alla scoperta della sassofonista polacca Matylda Gerber

jazz

Per il ciclo di articoli #Womentothefore #IWD2024, la diciannovenne contrabbassista spagnola Alejandra López

jazz

Per il ciclo di articoli #Womentothefore #IWD2024, la sassofonista belga Marjan Van Rompay