I giorni di Richard Thompson

Nella sua autobiografia Richard Thompson racconta i Fairport Convention e l'Inghilterra dei primi settanta, tra folk e psichedelia

Richard Thompson autobiografia
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Notoriamente, c’è sempre un certo grado di reticenza nell’esercizio dell’autobiografia, ed è il caso anche di quella di Richard Thompson, scritta con Scott Timberg (Beeswing. I Fairport Convention, il folk-rock, la mia voce, 1967-75, Jimenez, € 20).

Richard Thompson

I passi segnati, i percorsi di vita che ci lasciamo alle spalle, quando devono essere ripercorsi con la penna o le dita su una tastiera, diventano costruzione del ricordo. Inventiamo i nostri ricordi ogni volta che diciamo, con un’approssimazione che non vogliamo riconoscere, «mi ricordo che una volta…». Figuriamoci quando si tratta di dare un ordine, una progressione, uno scadenzario di episodi infilati disciplinatamente in fila per le nostre vite.

Una vita d’artista ovviamente riflette e amplifica il problema. Se è un artista notissimo, per dire, il Bob Dylan delle Cronache, alternerà con arguzia reticenza, illuminazioni decisive e sospette dimenticanze. Se a farlo è un artista che il mercato non ha premiato con i numeri grandi e grossi e la presenza mediatica spesso ribadita, la faccenda può farsi davvero interessante. Perché sono i medi calibri (di mercato: non di valore artistico, sia chiaro), nell’affascinante gioco di svelamento e reticenza, ricordo selettivo e memoria amplificata dei fatti, a ricostruirci una “trama d’epoca” di sorprendente vitalità. Specialmente quando si tratta di periodi cruciali per la storia della musica.

Richard Thompson, oggi un signore settantaduenne che continua a imbracciare la chitarra e a farsi periodicamente vivo, causa età, tipo di esposizione mediatica e temperie storica che s’è trovato ad attraversare è un testimone perfetto, ancorché ovviamente tormentato dalle contraddizioni, di quello snodo temporale avvenuto in Inghilterra che traghettò a scossoni la Swingin’ London in una stagione più convulsa, spietata e fors'anche più creativa: l'inizio degli anni settanta, e il lustro che arriva, all'incirca, alla metà del decennio.

Contribuì a farlo da un osservatorio pratico speciale in piena costruzione, letteralmente: il mondo del folk rock britannico. Fu una colonna dei Fairport Convention, tutt’ora vivi e vegeti e magnificamente incalliti nella loro pratica utopia di raduni (Covid permettendo) tutti pace, amore e antiche e nuove canzoni folk virate in elettricità pulsante. Thompson fu l’uomo che strutturò il suono alla piccola e regale Sandy Denny, la voce più bella e sfortunata di tutta la storia del folk rock, nei suoi splendidi e sfortunati dischi in solo, il protagonista di memorabili album e concerti in duo con la compagna Linda, e di mille altre avventure.

Dunque, un testimone di prima mano che ci racconta come i tardi sessanta scavallarono nel folk rock, in un tragitto che partiva grossomodo da Bob Dylan e Phil Ochs e finì invece a caccia di cupe e ammalianti ballate molto “British" che avevano due o tre secoli sul groppone e che in genere erano cantate da qualche fissato senza accompagnamento.

Faccenda assai interessante, anche perché la penna di Thompson (e di Scott Timberg) è frizzante e ispirata, spesso acidula e per nulla benevola. 

Scoprirete angoli nascosti di John Martyn e di quei mattacchioni della Incredible String Band. Ma anche discutibili affermazioni, ad esempio nel suo tratteggiare il folk rock come un fatto che riguardò poche decine di musicisti, quando poi ricerca e documentazione storica ci hanno mostrato che la “musa elettrica” del folk inglese riguardò invece decine e decine di gruppi e centinaia, forse migliaia di musicisti, a loro volta ispirati in tempo reale da Thompson, dai Fairport, dagli amici e rivali Steeleye Span e Pentangle.

Scoprirete che, il più delle volte, i Fairport suonavano in posti fatiscenti e di fronte a un pubblico distratto e molto più interessato alle pinte di birra, che vissero come una sorta di molto etilica “comune” in campagne umide e uggiose, che negli Stati Uniti ebbero momenti di splendore e colossali fiaschi, poche sterline in tasca e molta baldanza.

Verrete messi a conoscenza della miriade di volte che la formidabile chitarra di Thompson, in realtà serissimo professionista del suo strumento, è stata a servizio di grandi musicisti, e di quando i Fairport dividevano il palco con i Pink Floyd ancora nei fumi e negli acidi della psichedelia.

In fondo, scoprirete anche perché Richard Thompson a un certo punto della sua vita, sempre più attratto dall'esoterismo, esattamente come i suoi amici dei Mighty Baby (altro gruppo dimenticato) si sia progressivamente avvicinato all’Islam, e sia diventato un sufi, la corrente mistica di quel monoteismo.

Insomma, tanta polpa e tanto succo. E una galleria di personaggi che scorrono come in una lanterna magica accelerata. Manca qualcosa? Beh, un indice dei nomi citati sarebbe stato gradito, e forse anche una discografia completa. Peccati non veniali, ma neppure mortali.

 

 

 

 

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