Francesco Massaro è un jazzista (sax baritono e clarinetto basso) pugliese, parte del collettivo desuonatori e leader del gruppo Bestiario, che nel 2017 con Meccanismi di volo ha pubblicato un disco semplicemente imperdibile per chi abbia a cuore le vicende della creatività dalle nostre parti, a cui ogni volta si torna trovando cose nuove. Un lavoro pieno di spazio, di idee, di silenzio, di respiro, domande. Poetico e patafisico. Come un racconto per immagini di Lorenzo Mattotti.
Frutto dell'arte di un musicista prezioso e immaginifico, come si intuisce anche dalle risposte che ci ha dato in questa intervista.
Mi racconti qual è il tuo primo ricordo musicale?
«La scienza ci dice che l'esperienza dell'ascolto è precedente alla nascita, e questa notizia porta con sé un grandissimo valore simbolico. Di più: ho un rapporto particolare con la storia e la memoria, le vivo in maniera abbastanza orizzontale, convinto come sono della assoluta inefficacia della lettura verticale dello scorrere degli eventi, e nutro il sospetto che la memoria sia un modo che la natura utilizza per dimostrarci la “multiversalità”, la non univocità di spazio e tempo. Penso, anzi spero, che il mio primo ricordo musicale sia ciò che non ho ancora ascoltato, altrimenti dovrei dirti che è “Il ballo del qua qua” che mi facevano cantare all'asilo».
Qual è il percorso che ti ha portato a Meccanismi di volo?
«Alcuni anni fa, soprattutto grazie alla spinta della mia compagna Mariasole De Pascali (che è anche una delle quattro colonne del Bestiario, con Gianni Lenoci e Michele Ciccimarra), ho deciso di metter mani al baule che tutti abbiamo in soffitta, che generalmente è pieno di cose che riteniamo inutili, ma delle quali non riusciamo a sbarazzarci, ma che finiscono anche per raccontarci chi siamo. Una cosa che procrastinavo da troppo tempo e che si è concretizzata nel nostro primo album Bestiario Marino, pubblicato con desuonatori. In questo progetto, soprattutto grazie alla totale disponibilità dei miei sodali, ho potuto finalmente sintetizzare le mie esperienze, le mie passioni, il mio bagaglio di conoscenze con una libertà che non avevo mai conosciuto prima. Libertà che mi sono concesso, non senza sforzi, scegliendo di agire lontano dagli schemi ordinari del fare jazz, ma non solo. Per sintetizzare posso dire che è un lavoro di ricerca sulla parte “animale”, meno legata al controllo del fare musica e di interagire tra i componenti del quartetto. Prevedo di continuare il lavoro, probabilmente con un disco dedicato alla criptozoologia».
In che modo nel disco convivono composizione e improvvisazione?
«Sento la necessità di lavorare e vivere in spazi aperti e condivisi, faccio lo stesso quando penso alla mia musica, lascio che chi suona con me sia libero di interagire con il materiale sonoro. Libero finanche, se servisse, di tradire completamente lo spartito. Questo, insieme alle scritture aperte quali partiture grafiche, diagrammi di flusso, linee melodiche o armonie solo abbozzate, prassi esecutive prese dalle varie culture musicali, che utilizzo, conferisce alla musica del bestiario una dose abbastanza massiccia di imprevisto, tipica della musica improvvisata, ma anche direzioni precise».
Ci racconti cosa hai inciso prima, da dove vieni?
«Non ho inciso moltissime cose a mio nome, tendo a centellinare le uscite, e a lavorare quanto più possibile sui processi e sulle idee prima di fissare la musica su disco. I dischi ai quali sono più legato sono lavori che ritengo germinali per il mio modo di fare musica oggi. Andando a ritroso negli anni sono Agapi (desuonatori 2013) in duo con il fisarmonicista Rocco Nigro, nel quale c'è una fusione, penso anche abbastanza riuscita, tra musica popolare e libera improvvisazione, nessuno spazio concesso alla retorica però, scarno ed essenziale. Tra il 2006 e il 2010 ho inciso una serie di lavori in varie formazioni che vedono la presenza costante di Adolfo La Volpe (chitarre ed elettronica), amico e collega da moltissimi anni. Insieme abbiamo suonato nel gruppo Chaque Objet incidendo vari dischi tra i quali l'omonimo del gruppo (per l'olandese Evil Rabbit), album di composizioni di Pablo Montagne (animatore del progetto), e pubblicando un dvd intitolato Video Works (Setola di Maiale). Tra le collaborazioni, molte ed in ambiti molto diversi, sicuramente vorrei citare il disco Sextant (Ambiances Magnetiques, 2006) di Gianni Lenoci con il quale ho la fortuna di lavorare ormai da venti anni».
Quali sono i musicisti importanti della tua vita, che tipo di ascoltatore e di musicista sei?
«A questa domanda è difficile rispondere, a ogni periodo della mia vita corrispondono moti d'amore anche abbastanza violenti verso un musicista, una musica o un disco. Forse è più facile rispondere citandoti alcuni dischi, senza pretendere di essere completo, e muovendomi anche un poco a caso nel tempo. The Black Saint and the Sinner Lady di Charles Mingus, il live del quintetto di Astor Piazzolla del 1984 a Montreux, Hamba Kahle del duo Dollar Brand/Gato Barbieri, un disco di Berio che contiene uno dei miei feticci, Laborintus II, Discipline dei King Crimson sono dischi che ho ascoltato e continuo ad ascoltare dai tempi dell'adolescenza».
E adesso, dove vuoi andare?
«Non so di preciso dove mi porteranno le cose che sto facendo, ma il “dove” voglia andare non ha quasi nessun valore e nessuna importanza, non si può pianificare il futuro. La strada che vado percorrendo in questi giorni dovrebbe portarmi alla prossima produzione per Bestiario, e sto iniziando a lavorare su più fronti con l'elettronica, anche come esecutore (è in uscita per l'etichetta Creative Sources il cd Maniera Nera, che raccoglie una serie di brani per improvvisatore e fixed media) ma il cammino è ancora lungo. Sicuramente so da dove vengo e so quello che non vorrei diventare, e ogni giorno lo vivo come un'occasione per conoscere meglio me stesso. Sono pronto ad accogliere tutto ciò che da me vorrà erompere spontaneamente».
Nel disco ho avvertito echi di tante cose diverse, da certa ECM, quella meno retorica, ai Talk Talk, all'ambient, a certa classica. Che tipo di ascoltatore sei? Cosa ascolti ultimamente?
«Sono un ascoltatore onnivoro ma selettivo, devo ammettere di avere una gran quantità di dischi ECM nella mia discoteca, ma di non conoscere quasi per nulla, colpevolmente, i Talk Talk. Ultimamente ascolto molta musica prodotta in Europa da miei coetanei, adoro i lavori di area impro/jazz per ensemble di Eve Risser, Maria Faust, Sylvaine Hélary, i soli di Marco Colonna e di Rosario Di Rosa, ma anche molta musica elettronica (il gruppo romano ACRE e la scena che gravita a Napoli intorno alla figura di Elio Martusciello) e la contemporanea accademica (Clara Iannotta, Maurilio Cacciatore) ma anche questo è un elenco fortemente parziale. In generale ascolto musica per molte ore al giorno, quindi i miei vicini passano tranquillamente da Monteverdi a Coltrane, passando per Ryoji Ikeda...».
Segui la poesia, mi pare di capire. Mi dici qualcosa di questo tuo interesse? Mi citi un verso che per te è definitivo ?
«Seguo la poesia come seguo tutte le arti: in maniera disordinata e caotica. Mi piace perdermi in qualcosa di cui non conosco i meccanismi, alle volte mi pesa "conoscere" la musica perchè non posso ascoltarla in maniera pura, e ne soffro. Per restare sull'argomento dirò che amo lavorare con la poesia e con i poeti (ed ho la fortuna di far parte del Noci Saxophone Pool, con Gianni Console e Vittorino Curci, che oltre ad essere sassofonista e pittore è anche poeta). Della poesia amo l'essenzialità, non mi interessa tanto il suono della parola, che pure è importante, quanto la direzionalità del verso, la sua ambiguità, la sua inafferrabilità, la sua trasparenza, per questo. Non saprei sceglierne uno, tanto meno uno che sia definitivo, c'è una poesia però che mi accompagna da diversi anni ed è “El Go” di Jorge Luis Borges».
Sei parte del collettivo desuonatori. Che combinate, laggiù in Puglia?
«desuonatori è un “coordinamento di autoproduzioni per la socializzazione di musica inedita in nuovi contesti di fruizione”, come recita il nostro sito. Ci siamo costituiti nel 2013, grazie alla volontà di Valerio Daniele e uno sparuto manipolo donchisciottesco di artisti salentini, senza nessuna struttura né commerciale né giuridica, con lo scopo di raccogliere, suonare e pubblicare, fondamentalmente ma non solo, i nostri lavori. Parlo ovviamente di musica originale che difficilmente (forse a volte volontariamente) troverebbe collocazione in altre “etichette”. Di più ci siamo riappropriati della filiera produttiva, gestendone personalmente tutte le fasi, in alcuni casi mettendoci anche del lavoro artigianale, per esempio nella confezione, fino a coinvolgere a pieno titolo in desuonatori anche pittori, illustratori, videomaker e cuochi».
Un disco ed un libro che secondo te è necessario ascoltare e leggere.
«Per fortuna questa è l'ultima risposta che mi estorci. Due risposte secche e riluttanti: Trilogia della città di K di Agota Kristof, Professor Bad Trip di Fausto Romitelli».