I 10 dischi jazz di ottobre da scoprire (in comode pillole)

Mese ricco, da Filippo Vignato a David Virelles, da Fred Hersch a Peter Bernstein

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Tom Rainey Obbligato – Float Upstream (Intakt)

A leggere la scaletta di questo disco del quintetto del batterista Tom Rainey (con Ingrid Laubrock ai sassofoni, Kris Davis al pianoforte e due maestri di esperienza downtown NY come Ralph Alessi e Drew Gress a tromba e pianoforte) si potrebbe credere a un errore. Se si eccettua un’improvvisazione collettiva, il resto sono classici standard, da "Stella By Starlight" a "I Fall in Love Too Easily", passando per la splendida "Beatrice" di Sam Rivers e altri titoli ben noti a qualsiasi appassionato. Sebbene il percorso di Rainey e soci sia solitamente guidato da composizioni o improvvisazioni originali, il quintetto coglie l’occasione per rivisitare questi temi abusati con la consueta, avventurosa, imprevedibilità. Sfrontato.

David Virelles – Gnosis (ECM Records)

Dopo la maiuscola prova di Mbokò, il pianista cubano David Virelles prosegue la propria, interessantissima, ricerca sulla musica cubana con questo articolato Gnosis, in cui allestisce una sorta di camerismo modulare (con percussioni, archi, voci) funzionale a una visione originale in cui tradizione e contemporaneità si fondono in modo sempre acuto. L’equilibrio tra il sapore antico e quello anticipatorio di alcuni dei migliori momenti è una chiave affascinante per entrare in questo mondo inquieto e meno solare di quanto si potrebbe immaginare. Ampio spazio anche all’aspetto pianistico di Virelles, sempre notevole. Innovativo.

Filippo Vignato Quartet – Harvesting Minds (CAM Jazz)

Molto atteso, arriva con l’autunno anche il nuovo lavoro di uno dei giovani jazzisti italiani più talentuosi e richiesti, il trombonista Filippo Vignato. Qui Vignato guida un quartetto completato da Giovanni Guidi al pianoforte (sempre lirico), da Mattia Magatelli al contrabbasso e da Attila Gyárfás alla batteria. Rispetto alle linee elettriche del disco d’esordio per Auand, qui siamo dalle parti di un jazz acustico contemporaneo di inquieta maturità. Pensoso ancorché emotivamente caloroso, il mondo espressivo del trombonista trova qui un esito di grande equilibrio, che certamente convincerà anche chi magari era rimasto – magari per ragioni estetiche – lontano dalle scintille trasversali del precedente Plastic Breath. Prezioso.

De Beren Gieren – Dug Out Skyscrapers (Sdban Records)

Chi ha orecchie curiose probabilmente ha già segnato da un paio d’anni il nome (difficilmente pronunciabile in modo corretto) di questo trio belga tra i più intriganti della giovane scena europea. Il pianoforte – spesso alterato elettronicamente – di Fulco Ottervanger, insieme al contrabbasso di Lieven Van Pée e alla batteria di Simon Segers esplora anche in questo nuovo disco un terreno incandescente di intrichi ritmici, tra minimalismo e beat elettroacustici, piccole miniature allucinatorie e ipnosi post-rock. Un lavoro che apre squarci luminosi su quanto la musica improvvisata possa accedere a nuove comunità di ascoltatori senza per forza strizzare l’occhio a qualche moda. Semplicemente essendo in sintonia con il proprio tempo. Eccellente.

The New Woody Shaw Quintet – At Onkel Pö’s Carnegie Hall (Jazzline)

Prosegue la pubblicazione dei molti tesori che emergono dall’archivio della mitica Onkel Pö’s Carnegie Hall di Amburgo, club tra i più attivi e frequentati degli anni Settanta e Ottanta. La preziosa collana si impreziosisce di concerti dei quintetti di Freddie Hubbard e di Johnny Griffin/Eddie “Lockjaw” Davis, di un bellissimo doppio a nome della cantante Esther Phillips, ma soprattutto di questo scoppiettante live del quintetto del trombettista Woody Shaw, completato da Steve Turre (trombone), Mulgrew Miller (piano), Stafford James (basso) e Tony Reedus (batteria). L’anno era il 1982, epoca del bellissimo Night Music, e il gruppo è un proiettile infuocato di energia e fantasia improvvisativa capace di trapassare anche i cuori più coriacei. Stellare.

Fred Hersch – {Open Book} (Palmetto)

Gli amanti del pianoforte solo non si lascino sfuggire questo nuovo lavoro di Fred Hersch, musicista di eccelsa – e sottovalutata – finezza esecutiva e improvvisativa. Dall’inziale, dolcissima, "The Orb" alla conclusiva "And So It Goes" (pezzo di Billy Joel), passando anche per riletture di Golson, Jobim e Monk, Hersh ci accompagna in un mondo di lirica intimità, commovente e sincero, sempre ispiratissimo – si ascolti ad esempio la sontuosa "Through The Forest" – e grondante bellezza. Inimitabile.

Irène Schweizer & Joey Baron – Live! (Intakt)

Altra pianista che non abbisogna di presentazione, la svizzera Irène Schweizer, esperta in duetti con batteristi, dialoga qui con Joey Baron in un concerto zurighese del 2015. Il musicista americano sembra da subito in sintonia con il pianismo scorbutico della Schweizer, sempre in bilico tra informalità europea, percussionismo tayloriano e lirismo danzante di matrice sudafricana. In poco più di cinquanta minuti coloratissimi, i due si scambiano intese e declinazioni di swing. Ispirato.

Eddie Daniels & Roger Kellaway – Just Friends – Live At The Village Vanguard (Resonance Records)

Clima da “buon vecchio jazz” con il quartetto di Eddie Daniels (clarinetto) e Roger Kellaway (pianoforte), completato dai fantastici Buster Williams e Al Foster alla ritmica. L’amicizia, l’intesa tra i due musicisti, qui catturati dal vivo al Village Vanguard nel 1988, è di quelle telepatiche, cui abbandonarsi con il piacere che il navigato professionismo sa trasmettere quando conserva la freschezza, come in questo caso. Si swinga, ci si scambiano idee e assoli, la registrazione (sebbene fatta con un solo microfono) restituisce il calore di quella serata. Nostalgico.

Borderlands Trio – Asteroidea (Intakt) Sin dalle prime note della lunghissima improvvisazione iniziale "Borderlands" (con il pianoforte preparato a costruire tessiture ritmiche implacabili) si capisce che questo trio è qualcosa di più della – pur stellare – somma delle parti. Kris Davis al piano, Stephan Crump al contrabbasso, Eric McPherson alla batteria. Fantasia timbrica sovrana, flussi che attraversano i corpi e le pratiche dei rispettivi strumenti e che vengono restituiti sotto forme sempre cangianti. Il gesto iterativo e materico non dimentica mai la propria natura danzante, anche quando l’intreccio si fa complesso. Disco di bellezza rara, da ascoltare e riascoltare. Trigonometrico.

Peter Bernstein – Signs Live! (Smoke Sessions)

Doppio live che farà venire l’acquolina in bocca agli appassionati di chitarra, questo di Peter Bernstein, alla testa del suo quartetto di superstar con Brad Mehldau al piano, Christian McBride al contrabbasso e Greg Hutchingson alla batteria. Virtuosismo e pulizia, sfavillante nella sua capacità di metabolizzare in modo elegante gli elementi ormai storicizzati del jazz mainstream cristallizzatosi negli anni Ottanta del secolo scorso, la musica di Bernstein e soci (che meraviglia quando Mehldau si lancia negli assolo) è un catalogo vivente del migliore jazz da club. Chirurgico.

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