Gli orizzonti interstellari della batteria

Il progetto Aforemention di Tommaso Cappellato, su disco e dal vivo

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jazz

L’ultimo disco di Tommaso Cappellato, Aforemention, la sua prima prova solista, colpisce già dalla copertina: un quadro di Roland Nicol che cattura per la sua profondità, i suoi diversi piani, le intersezioni arrotondate, un orizzonte aperto e interstellare in cui ti aspetti che possa comparire da un momento all’altro Sun Ra.

Una decina di anni fa Tommaso Cappellato, sintetizzando la precedente decade di studi, concerti e registrazioni a New York, si era presentato come batterista e compositore jazz con quattro riusciti lavori discografici: Originals, Nesso G, Open e The Knight. Già allora, il remix di The Knight a opera di Rabih Beaini dichiarava la capacità di imprimere torsione alla traiettoria jazz nell’incontro senza preclusioni con altri territori musicali. Un primo approdo di queste esplorazioni è il jazz spirituale di Astral Travel.

Il nuovo lavoro discografico che sta presentando dal vivo in queste settimane è Aforemention: nove brani che sono anche fotografie del repertorio sviluppato per i concerti che da tre anni Cappellato ha cominciato ad offrire da solo, così come delle collaborazioni con voci che, come lui, mostrano un rapporto trasversale con il jazz, dai voli melodici di Nia Andrews al personale hip hop di Dulcinea Detwah. Un disco che vale la pena approfondire con il diretto interessato.

Con quale spirito hai intrapreso le composizioni e le registrazioni che hanno portato ad Aforemention?

«Aforemention è nato senza un disegno o una finalità, bensì dalla curiosità e necessità di rapportarmi con tecniche e tecnologie di registrazione e performative a me ancora sconosciute. Dopo alcuni concerti in solo, in cui mi sono avvalso esclusivamente della batteria acustica e di alcune percussioni, mi sono chiesto se non fosse possibile spingermi oltre e poter manovrare effetti e sintetizzatori autonomamente. È così iniziato un processo di apprendimento molto graduale che ha spostato l'attenzione dalla performance a varie tecniche di registrazione nel mio studio privato. Una regola fondamentale che mi sono dato è stata quella di sfruttare al massimo delle potenzialità il poco materiale tecnico che avevo a disposizione. Così, 70 sessioni di registrazione dopo, mi sono trovato ad avere abbastanza musica per completare un album intero».

In quali modi è un disco "afrocentrico"?

«La mia educazione musicale è radicata nel jazz tradizionale, ma si è espansa in altri territori tra cui la beat culture, legata al mondo dei DJ di derivazione afro-americana e londinese. L'afrocentrismo è sempre stato un filo conduttore in questo percorso, grazie all'immensa fortuna di essere cresciuto sotto l'influenza di alcuni mentori afro-americani quali Harry Whitaker, Michael Carvin, Billy Hart, Victor Lewis e Reggie Workman. Ciò che mi hanno trasmesso, oltre alla conoscenza tecnica e di linguaggio, è stata l'importanza del dare spazio al proprio essere spirituale attraverso la performance. Il che vuol dire che, a fini espressivi, si devono a mettere a nudo i propri limiti piuttosto che contenerli dietro un falso sipario di ovvietà. Ho cercato, quindi, di perseguire una strada che potesse riflettere queste mie sfaccettature e influenze senza sacrificare la mia voce espressiva. Partendo da errori di esecuzione ho costruito un linguaggio personale che omaggia l'afrocentrismo, ma senza alcuna velleità di appropriazione». 

Quali sono i vantaggi e i limiti di un lavoro "solo"?

«Il limite che già riscontro nel perseguire un progetto in solo è quello di dover costantemente attingere a una propulsione interna per motivarsi e ispirarsi e anche per far crescere ciò che ci si è imposti di compiere. Questo non sempre è facile. D'altro canto il poter decidere autonomamente come e quanto tempo investire sulla crescita del progetto è senza dubbio un grosso vantaggio».

Come sono nate le collaborazioni artistiche e produttive di Aforemention?

«Le parole di Victor Lewis introducono l'album e invitano a lasciare che sia lo spirito a guidare l'intelletto piuttosto che il contrario. Questo vuole essere il tema di tutto l'album. Victor è un batterista leggendario che ha suonato nelle band di Stan Getz, Woody Shaw e Sarah Vaughn. È stato uno dei miei insegnanti alla New School University quasi vent'anni fa e non ci siamo mai persi di vista. Una sera di due anni e mezzo fa mi trovavo nel camerino dello Smalls Jazz Club a New York assieme ad altri musicisti e Victor ha cominciato a disquisire sull'importanza dell'aspetto spirituale della musica e per non perdere quell'occasione importante ho registrato il suo discorso col mio telefono. Quando mi sono cimentato nelle musiche dell'album mi è tornato in mente quel momento e ho pensato che fosse appropriato aggiungere le parole di Victor in uno dei brani. Più ascolto queste parole più mi convinco quanto siano appropriate come incipit dell'album.
Ho conosciuto Nia Andrews grazie al mio amico e collaboratore, nonché produttore discografico di quest'album, Mark de Clive-Lowe, con cui suono ormai da quasi una decina d'anni. Nia è la moglie di Mark e una cantante straordinaria che non manca mai di farmi venire la pelle d'oca ogni volta che la sento cantare. Quando ho scritto “Fly” non ho avuto dubbi su chi potesse esserne l'interprete. Nia è in grado di aprire la sua anima e regalarti il suo cuore quando canta ed era esattamente quello che cercavo. Di Nia sentiremo parlare molto e presto.
Dulcinea Detwah è una cantante, rapper e performer di Detroit, da anni residente a New York, che ho conosciuto attraverso Yah Supreme, il rapper/cantante con cui avevo fondato il progetto Brohemian una dozzina di anni fa, quando ancora vivevo a Brooklyn. Dulcinea ha scritto le parole per “Get Set Free” e ha immaginato una struttura per questo brano che ancora non avevo intravisto. Spero molto che il suo talento verrà notato quanto prima. Il disco ha subito tre fasi di missaggio diverse: la prima volta ad opera mia, la seconda di Max Trisotto, la terza dal DJ e producer techno Donato Dozzy. Grazie a Max e Donato il disco ha raggiunto una trimidensionalità sonora notevole considerando che ho adottato metodi di registrazione alquanto primitivi».

Quanto i tuoi set dal vivo rispecchiano oggi Aforemention, registrato ormai oltre due anni fa? Come reagisce il pubblico?

«Sebbene il disco sia ormai "datato" la live performance è ancora una novità che si trasforma in continuazione. In questo momento sto cercando di comprendere quale sia la tecnologia migliore, meno complicata e con quanti meno gadget possibili che mi permetta sia di riprodurre la musica del disco che di improvvisare in maniera più spontanea e senza soluzione di continuità. Un altro fattore determinante è dato dalla trasportabilità delle macchine di cui ho bisogno per manovrare il tutto. Dopo l'ultimo giro negli Stati Uniti sono arrivato a una soluzione piuttosto snella che comprende un pc, un'interfaccia audio, un Akai APC 40, il sintetizzatore portatile Roland JDXI e, ovviamente, una batteria. Fino ad ora il pubblico ha reagito molto entusiasticamente, soprattutto per il fatto che ancora non sa cosa aspettarsi da questo set e, quindi, viene spesso colto di sorpresa. Il mio obiettivo è quello di poter arrivare a una performance dal ritmo serrato e contemplativo al tempo stesso, musicalmente fruibile, ma altrettanto profondo e interessante. L'idea è quella di un DJ che crea la musica in tempo reale». 

Il disco colpisce fin dal disegno di copertina e dall'organizzazione dei testi nello spazio: come hai scelto la grafica?

«Il disegno di copertina è opera dell'artista grafico americano Roland Nicol col quale collaboro da qualche anno, soprattutto per la grafica di alcuni manifesti. A dire la verità, questa copertina è stata concepita nel 2013 per il mio album precedente col mio progetto Astral Travel, ma poi l'etichetta discografica all'epoca aveva preferito utilizzare il proprio grafico interno. Innamorato di questo disegno l'ho gelosamente conservato in attesa di poterlo usare in un contesto futuro e, infatti, penso che la musica di Aforemention venga rispecchiata perfettamente nei colori e tratti del dipinto di Roland. Ne sono molto orgoglioso».

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