La prendo un po’ alla larga: in un’epoca in cui ci sembra che tutto sia disponibile e documentato e invece magari non è proprio così (è di queste settimane la notizia che l’archivio storico online di un grande quotidiano italiano potrebbe a brevissimo non essere più consultabile perché utilizza il rottamando Flash Player), l’importanza della documentazione storica e artistica da parte dei Festival è sempre più evidente.
– Leggi anche: 15 libri di musica da regalare a Natale
È vero che oggi come mai prima d’ora è frequente che gli organizzatori registrino senza troppi sforzi (e con qualità altissima) i concerti che programmano – compito che una volta era demandato in parte a quelle figure mitologiche tra il nerd e il pirata che, con il consenso o meno degli artisti, hanno catturato momenti indispensabili per i fan e gli studiosi – ma la cura e la continuità nel mettere poi in circolazione queste testimonianze sono comunque un elemento non scontato, che richiede volontà, risorse e anche visione.
Lo sta facendo benissimo, e veniamo al punto, Angelica, il festival bolognese dedicato alla ricerca musicale, che nei suoi 30 anni di vita ha anche abbinato l’attività discografica a quella di programmazione, costruendo un catalogo non solo originalissimo, ma anche in grado di accompagnare e completare il discorso curatoriale (di Massimo Simonini e, fino alla sua scomparsa, anche di Mario Zanzani).
Uno sguardo alle ultime uscite dell’etichetta bolognese ci consegna infatti non solo un gruppo di interessantissimi dischi, ma racconta anche al meglio quanto la visione del festival, i lavori commissionati, l’ostinata e coraggiosa pervicacia nel mettere insieme sguardi e lessici, siano tasselli di un disegno di altissimo livello.
Due volumi sono dedicati a altrettanti maestri del pianoforte che purtroppo in questi anni ci hanno lasciato: Cecil Taylor e Misha Mengelberg.
Invitato nel 2000 per un concerto in solo cui era abbinata anche l’esecuzione di Coptic Light di Morton Feldman – a testimonianza della visione senza etichette che ha sempre caratterizzato il progetto bolognese – Taylor si avventura alla sua maniera tra i tasti, la parola poetica, il movimento, avvolgendo il pubblico (e ora chi ascolterà il disco) in una stratificazione di segni tenuti sempre sotto controllo anche nei momenti di maggiore libertà. Un secondo cd contiene l’intervista/incontro con Franco Fabbri del giorno successivo, documento che è qualcosa di più di una curiosità per studiosi, dal momento che Taylor si avventura in uno speech altamente performativo e scoppiettante di riferimenti e concetti.
Il disco dedicato a Mengelberg raccoglie, oltre al pezzo registrato nel 2002 al Teatro Polivalente Occupato (nell’ambito di una sei giorni pensata allora con Tristan Honsinger), anche altri contributi – sempre in piano solo e voce – da concerti a Amsterdam, Kiev e Pantin. Come sempre imprevedibile e giocoso, poetico e teatrale, nella traccia bolognese il compianto pianista olandese cuce insieme una serie di frammenti di “canzone” che passano dal tono infantile a quello più drammatico.
Più recenti sono le edizioni di Angelica da cui sono tratti i dischi di Anthony Braxton, Roscoe Mitchell e Peter Brötzmann, tre sassofonisti la cui concezione strumentale e compositiva è tra i punti di riferimento imprescindibili della ricerca creativa dell’ultima parte del Novecento.
Braxton è impegnato – era in maggio del 2018 – in un affascinante duetto con l’arpista sudafricana Jacqueline Kerrod, da cui emerge non solo l’originalità timbrica delle pronunce strumentali, ma anche quanto alla voglia di essere ritmica e angolosa dell’arpista, il sassofonista di Chicago risponda con il suo lato più lirico e cool, quasi una sorta di Paul Desmond – non a caso un riferimento dichiarato – astratto e fantasmatico.
Di Roscoe Mitchell viene esplorato sia il lato compositivo, con l’esecuzione di Splatter (trascrizione per orchestra di un’improvvisazione in trio) e di Distant Radio Transmission, lavoro commissionato per l’Orchestra del Teatro Comunale – diretta da Tonino Battista – e il vocalist Thomas Buckner e lo stesso Mitchell al sax soprano come solisti, che quello improvvisativo, in un poderoso incontro tra i sassofoni del nostro e l’organo suonato da Francesco Filidei. Il tutto magmatico e sfidante come ci si attende!
Il più istintivo e rovente Brötzmann trova invece nel trio con Hamid Drake alla batteria e Maâlem Moukhtar Gania (ultimo esponente di una leggendaria dinastia di maestri della musica gnawa di Essaouira) al guembrì/sintir la triangolazione ideale per un incontro di segni sonori e culturali differenti. Tra l’Africa e l’astrazione materica europea, la mediazione dei colori di Drake consente un piccolo grande miracolo.
Nell’ultimo dei dischi che vi raccontiamo trovano spazio alcune registrazione della Shaloma Locomotiva Orchestra, organico che esplora in maniera estesa e esplosa la sperimentazione sulla forma canzone che Mirco Mariani sta percorrendo da tempo.
Con l’impiego di affascinanti strumenti vintage come il theremin, le ondes Martenot, etc., con il contributo di musicisti tra cui Paolo Fresu, Jimmy Villotti e Mitchell Froom, un laboratorio vivo di narrazioni originali.
Viva gli archivi, specialmente quelli di Angelica!