Per accendere una riflessione su Giancarlo Cardini, stimolata dalla recente uscita per Da Vinci Classics di sue composizioni per pianoforte eseguite da Agnese Toniutti, provo a prendere spunto da un’immagine: la foto che lo ritrae ricoperto di fiori davanti al pianoforte in una scena de Il castello Insonne (Biennale Musica, 1991): la si trova in un libro di poesie di Cardini, Bolle di sapone (Centro Di, 1991). Lì c’è il Cardini confuso dalla bellezza, dal profumo, dall’estraniazione della natura, dalla trance della performance. Quella confusione, quell’ammaliamento, quel gesto potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per risalire alla sua alta considerazione della melodia, della tonalità – elementi quasi criminalizzati dalle neoavanguardie, dai dogmi del serialismo integrale. Melodia, tonalità, mai affrontati come rifugio, messi invece ciclicamente in gioco, incrinati da schizzi armonici su piani obliqui, sospensioni, contrasti di colori, contemplazione. Il piacere del fare musica per Cardini sta nel godimento di eseguirla, nel sentirsi rapiti dall’ascolto.
«Il piacere del fare musica per Cardini sta nel godimento di eseguirla, nel sentirsi rapiti dall’ascolto».
Questa semplificazione potrebbe portare però a conclusioni distorte. Cardini in realtà è immerso nelle avanguardie del ventesimo secolo, la sua provocatoria libertà nell’ usare, amare e mischiare linguaggi diversi partendo da una solida cultura accademica è garanzia di un percorso tra i più originali. Percorso che esalta nella sua trasversalità una costante critica verso dogmi e confini in nome di una musica libera e liberata.
Cardini e il pianoforte, un mondo a sé. Le cangianti letture di Cage, Satie, Feldman, Scelsi, rimangono uniche, irripetibili. Lento trascolorare riaccende con forza la statura del compositore. Nell’intimità della tastiera si rivive una rielaborazione, sintesi mirabile della filosofia cardiniana. Percorso creativo che passa attraverso l’osservazione del dettaglio, la poesia dell’attimo irripetibile, del silenzio, in una ritualità che profuma d’Oriente, in una visione della vita lontana dai ritmi nevrotici della contemporaneità, più vicina ai tempi, ai colori della natura.
Un suono, uno spazio privato, quasi segreto, del quale Agnese Toniutti dimostra di possedere da tempo le chiavi di accesso. Da anni la pianista propone nei suoi concerti, in un ampio repertorio contemporaneo, composizioni di Cardini dimostrando una predilezione verso quel mondo magico, sospeso, moderno ma contemporaneamente fascinosamente nostalgico. Innamoramento corrisposto, tanto che il compositore le ha dedicato nel 2018 Terza fantasia, ad Agnese Toniutti che apre il cd. La pianista in Lento trascolorare compie un percorso di straordinaria profondità, selezionando otto composizioni che vanno dal 1982 al 2018, ci regala un Cardini sfavillante. A sua volta ci mette anche molto della propria sensibilità, capacità introspettiva, sommandola a quella del compositore amplifica la densità delle vibrazioni, esalta gli arpeggi, incastona come pietre preziose le dissonanze, brevi traumi sonori che Cardini dissemina nella propria scrittura come dubbi esistenziali all’interno di una linearità mai autocompiacente, sempre problematica. Per scattare questa foto d’autore di un compositore, pianista, intellettuale e poeta visionario, ancora attivo, qualche volta dimenticato la Toniutti mette le mani su uno splendido Steinway & Sons B-211 del 1890, lo ripulisce da sedimenti romantici per renderlo come attrezzo perfetto per una escursione indimenticabile tra le morbide colline cardiniane.
Come e quando è avvenuto il primo incontro con le composizioni di Giancarlo Cardini? Quale è stato l’elemento che l’ha subito colpita nelle sue composizioni?
«Ho incontrato la musica di Giancarlo Cardini per la prima volta grazie a Riccardo Vaglini e Francesco Zorzini, organizzatori del festival Camino Contro Corrente, che mi proposero una prima esecuzione di un pezzo di Cardini scritto nel 2007, "Tre momenti di sessualità infantile". Fui divertita dal titolo inusuale, una scelta provocatoria basata, come Cardini stesso mi chiarì poi, sulla lettura dei saggi di Freud e Groddeck. Ma soprattutto rimasi incantata dalla musica: un luogo spazioso, con colori colmi di sfumature e riflessi di luce, in cui è il piacere percettivo, sonoro, a decidere la strada da percorrere, più che esigenze astratte di strutturazione o sperimentalismo. Un mondo di gesti eleganti e leggeri, pieni di poesia, dentro ai quali potersi meravigliare».
Nelle note di copertina di Lento Trascolorare, Cardini cita Webern, Feldman, Eno, allontana Glass e Reich. Mi sarei aspettato in questo elenco anche i francesi, almeno Satie e Debussy, ai quali, a mio parere, il compositore deve molto. Condivide questa riflessione?
«Difficile rispondere a questa domanda. Credo che Cardini si riferisca nella sua citazione ad alcune idee compositive di Webern, Feldman e Eno con le quali si trova in sintonia, più che al risultato sonoro in sé e per sé. Rispetto a questo ultimo aspetto, capisco che Debussy e Satie possano sembrare più vicini, anche considerando il fatto che di Satie Cardini ha inciso l’opera omnia, tuttavia mi verrebbe da dire che non ne consegue altrettanta vicinanza nella visione compositiva. Ma a Cardini stesso spetta, ovviamente, l’ultima parola».
Quale metodo selettivo ha usato per il progetto del disco, considerando il consistente numero di composizioni per pianoforte al quale attingere?
«È vero, il catalogo di Cardini è decisamente nutrito, tra opere originali, elaborazioni e trascrizioni. Ho scelto le composizioni che sentivo più vicine alla mia sensibilità e alle quali pensavo di poter rendere più giustizia. Sono particolarmente affezionata a "Rituals for the Ryoanji Garden", e nonostante sia stata già incisa da Cardini stesso, mi sono arrischiata a dare anche la mia versione. Non potevano mancare i "Tre momenti", che hanno segnato l’inizio di tutta l’avventura, e "Terza fantasia", il pezzo che Cardini mi ha dedicato, entrambi inediti. "Via del Fico, Firenze. Una piccola strada disadorna, silenziosa, quasi immota, arida e bella" (2011), è il pezzo che si spinge più lontano nell’assoggettare il tempo della scrittura compositiva allo spazio necessario alla vita del suono. Per contro, mi piaceva dare uno sguardo anche al Cardini degli anni Ottanta, che si confrontava con l’attualità storica del momento – di cui era protagonista nel suo sperimentalismo anche estremo, come interprete e performer – e dava la sua risposta inaspettata, già nella direzione di un mondo personale, tutto suo. Ecco allora la scelta di "Una notte d’inverno" (1982) e "Foglie d’autunno lentamente trascolorano", scritto nel 1983 ma rivisto nel 2018, che in origine si intitolava "Lento trascolorare dal verde al rosso in un tralcio di foglie autunnali", da cui ho preso ispirazione per il titolo del disco».
Come sono stati i rapporti con Cardini durante la gestazione del disco? È stato collaborativo?
«Cardini è stato di grande sostegno e incoraggiamento fin da principio, dall’esecuzione dei "Tre momenti", quando l’idea del disco era ancora lontana e si trattava di lavorare sul repertorio. È nato così un rapporto di fiducia, per cui il progetto del disco è stato accolto con entusiasmo e con la sicurezza in una reciproca sintonia nella visione dei pezzi. Sono grata di questo incontro, che mi insegna molto su quanto sia importante la corrispondenza tra creatività e umanità, quel raro modo di stare al mondo e di fare arte che credo si definisca autenticità».