Tra Londra e l’Oriente, tra San Diego e i Balcani, ma con i piedi ben piantati sulle dolci colline della Bassa Langa, vent’anni di feste, dischi, festival: ricostruiamo la storia dei Feel Good Productions con Pony Montana, una delle due metà della gang langarola.
Le Langhe (ma noi piemontesi diciamo “la Langa”) sono un territorio internazionalmente conosciuto per le sue eccellenze enogastronomiche, per i suoi castelli, per la bellezza dei suoi paesaggi, al punto che dal 2014, con Roero e Monferrato, sono Patrimonio dell’Unesco; hanno dato i natali a due tra gli scrittori più importanti della letteratura italiana del dopoguerra (Pavese e Fenoglio), ai pittori Valerio Berruti e Gianni Mana, al fondatore dell’associazione Slow Food Carlin Petrini, sono state la casa adottiva di Gianmaria Testa, cantautore atipico nel panorama musicale nostrano.
Gente strana i langhetti, passati dall’estrema povertà (la malora di fenogliana memoria) di buona parte del secolo scorso al benessere, iniziato negli anni Ottanta, derivato dal trionfo dei vini della zona sul mercato mondiale e al successo imprenditoriale delle famiglie Ferrero e Miroglio, per citare solo le più conosciute. Nella povertà e nella ricchezza c’è sempre stata una costante: la voglia di fare festa, una tradizione che ha radici contadine, forse persino pagane (si veda La luna e i falò di Pavese), e che continua tutt’oggi, fatta di balli, salame e vino, tanto vino.
È in questo humus che vent’anni fa Fabrizio Cavalli (Pony Montana) e Giuliano Scanavino (Funky Farmer) danno vita a Feel Good Productions. Cos’è successo e cosa succederà ce lo racconta Pony Montana, davanti all’immancabile bottiglia di vino.
Perché due ragazzi di Alba e dintorni un bel giorno decidono di iniziare a “trafficare” coi dischi fino ad arrivare a mettere in piedi uno studio di produzione?
«Fondamentalmente la noia, l’impossibilità di poter ascoltare qualcosa che non fosse musica commerciale. All’epoca eravamo amici dei proprietari degli unici due negozi di dischi di Alba e passavamo ore nei loro negozi a spulciare tra i dischi e nelle liste che i distributori mandavano via fax. Poi un bel giorno, tramite amici, veniamo a conoscenza di due indirizzi di negozi a Londra e con Giuliano decidiamo di partire, con le classiche borse da DJ vuote da riempire sul posto. Non ci limitiamo a questo: grazie a persone conosciute in quei giorni, veniamo introdotti nella scena alternativa londinese, fatta di musiche portate dagli immigrati contaminate dai primi ritmi elettronici, un melting pot che ci affascina fin da subito e che sarebbe diventato la nostra costante negli anni successivi. All’epoca non lo sapevamo ancora, avevamo solo capito che ci trovavamo nella terra promessa».
«Veniamo a conoscenza di due indirizzi di negozi a Londra e decidiamo di partire, con le classiche borse da DJ vuote da riempire sul posto. Veniamo introdotti nella scena alternativa londinese, un melting pot che sarebbe diventato la nostra costante negli anni successivi. All’epoca non lo sapevamo ancora, avevamo solo capito che ci trovavamo nella terra promessa».
«Al ritorno abbiamo formato una sorta di collettivo con altri DJ, andavamo in giro con le ballerine, ci mettevamo le parrucche, volevamo che le nostre serate fossero delle feste: abbiamo iniziato a esibirci nei centri sociali, probabilmente li abbiamo girati tutti, la cosa ha funzionato, la voce si è sparsa e hanno iniziato a invitarci da tutta Europa».
I Feel Good Productions nascono nel 1988 e l’attività di produttori comincia due anni più tardi: qual è stata la molla che vi ha spinto a questo passo?
«Direi l’apprezzamento di chi ci stava intorno e il desiderio di creare un trait d’union tra l’Italia e quella scena londinese che ci aveva così segnato e che continuavamo a frequentare, obiettivo che solo in parte siamo riusciti a centrare e solo per alcuni anni. Col senno di poi riconosco il ruolo importante di Stefano Senardi nei primi dieci anni della nostra carriera, e devo anche dire che lui è stato una delle poche persone lungimiranti nonché corrette dell’ambiente discografico nazionale che abbiamo incontrato in questi vent’anni. Comunque nel nostro caso il termine “produttori” è un po’ troppo altisonante, ci siamo sempre ritenuti dei DJ, degli intrattenitori, e ben contenti di esserlo».
E poi nel 2003 arriva “The Feel Good Vibe” e il successo vi esplode tra le mani.
«Esatto. La canzone è usata in televisione, al cinema, passa alla radio, e noi siamo visti come gli alfieri di una scena alternativa italiana che in realtà non esiste. Nascono aspettative sulla nostre produzioni, vogliono un secondo singolo che replichi il successo del primo, vogliono un album, le comparsate televisive, ma noi siamo un’altra cosa, abbiamo alle spalle un percorso di cinque anni che ci ha dato una credibilità soprattutto all’estero e non abbiamo nessuna intenzione di buttarla alle ortiche. Dopo tre anni sciogliamo il contratto discografico e torniamo indipendenti. Giuliano va in Asia, mette su famiglia, fa due figli, e io mi trasferisco per un po’ in Inghilterra. C’è la voglia di fare nuove esperienze, di ascoltare musiche diverse, pur rimanendo, ci tengo a sottolinearlo, in ottimi rapporti e sentendoci in continuazione anche grazie a internet che nel frattempo comincia a essere uno strumento diffuso».
«Nel 2003 “The Feel Good Vibe” è usata in televisione, al cinema, passa alla radio, e noi siamo visti come gli alfieri di una scena alternativa italiana che in realtà non esiste».
«Da un po’ Giuliano si è trasferito in Romania, ci si vede più spesso e ci è venuta la voglia di lavorare a un nuovo album, magari con sonorità un po’ diverse rispetto a quelle a cui il nostro pubblico è abituato, anche se il nostro marchio di fabbrica è comunque riconoscibile. Adesso però, se me lo concedi, vorrei tornare al periodo 2000-2006, quello della cascina di Mango, perché è stato fondamentale per la nostra formazione artistica».
Molto volentieri. Durante quel periodo venni anch’io una volta e vidi cose che voi umani…
«In effetti [ride]…Tutto comincia con la segnalazione di una cascina da mettere a posto sulla collina di Mango, un paese a mezz’ora di auto da Alba. Cavolo, sarebbe bellissimo poter ricavare una sala prove all’interno della struttura. Andiamo a vedere e le condizioni dell’edificio sono peggio di quanto ci aspettassimo ma non ci spaventiamo: in due mesi abbiamo non solo la sala prove ma anche delle camere da letto e la cucina. Mettiamo a posto anche lo spazio esterno, portiamo un mega impianto, insomma c’è tutto. Nel frattempo arriva l’estate, si sta d’incanto, è la nostra summer of love, sono i nostri all tomorrow’s parties, c’è gente in continuazione, c’è chi legge, c’è chi dipinge, c’è chi passeggia, c’è chi prende il sole, la musica non si interrompe mai. La faccio breve: ci restiamo sei anni, estati e inverni. La voce si diffonde, arriva gente da tutta Europa, facciamo alcune delle feste più belle della storia della Langa. Si crea una situazione davvero Feel Good, la gente viene per trovare benessere fisico e mentale».
Praticamente eravate una spa, uno stabilimento termale.
«Una spa [ride]! Non ci avevo mai pensato. Un bel giorno le forze dell’ordine del luogo ci fanno capire che è meglio piantarla lì, altrimenti avrebbero mandato…».
Cosa? I carri armati, i due marò?
«I due marò!!! Sì, qualcosa del genere. È stato comunque un periodo incredibile, di grande fermento creativo, che ci ha permesso di confrontarci con persone provenienti da ogni dove. Era l’essenza di quello che deve essere un festival, quello che trovi a Glastonbury, al Boom Festival: nella parola “festival” c’è il termine “festa”, qui da noi li chiamano festival ma nella maggior parte dei casi sono rassegne musicali, manca completamente la condivisione quotidiana, ci si trova solo alla sera per ascoltare i gruppi o i DJ. Se posso dire, lo trovo poco divertente».
La nostra chiacchierata si avvia il termine, ce lo segnala anche la bottiglia ormai vuota davanti a noi. Lasciamoci con una riflessione intelligente.
«Ho iniziato a fare il DJ quando ero un ragazzo perché convinto che fosse un ottimo sistema per rimorchiare un sacco di ragazze. Non ridere, l’hai pensato anche tu, ci siam passati tutti. A distanza di anni posso dire che il sistema non funziona: lo dico per i più giovani, non è vero, non è così! Chi se ne frega? [Ride]. Ho conosciuto tantissima gente, mi sono divertito e, cosa importante, continuo a divertirmi».
«Ho iniziato a fare il DJ quando ero un ragazzo perché convinto che fosse un ottimo sistema per rimorchiare un sacco di ragazze. A distanza di anni posso dire che il sistema non funziona».
Cosa dobbiamo aspettarci in questo 2018, l’anno del ventennale? Un singolo è già uscito, si intitola “Hold On To Your Money” e vede la collaborazione dei Vokab Kompany, un duo hip hop di San Diego; un altro singolo dovrebbe uscire a breve e poi, nella seconda metà dell’anno, i Feel Good torneranno a cimentarsi sulla lunga distanza, senza dimenticare la realizzazione di un Greatest Hits con i loro brani più celebri rimasterizzati per l’occasione. Ci sono ancora dieci mesi per fare festa con Pony Montana e Funky Farmer: stappate una bottiglia e buon divertimento!