Con la sua 45° edizione il Corso Internazionale di Canto Gregoriano punta a migliorare il percorso formativo grazie anche alla collaborazione con il Conservatorio di Musica di Vicenza e alla sua inclusione nel circuito del programma Erasmus+. Gli eventi presenti in questa nuova edizione sono numerosi e sono ripartiti in tre diversi weekend di studio e in due distinte sessioni dei corsi diretti da Giovanni Conti, organizzati della sezione italiana della Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano, sul cui sito si trova il programma completo.
Il primo fine settimana intitolato “Celebrare la Pentecoste” si svolgerà a Modena l’11 e 12 maggio nella Chiesa della Madonna del Voto; il secondo a Vicenza il 15 e 16 giugno nella sede dell’Istituto Diocesano di Musica Sacra e Liturgia “Ernesto Dalla Libera” ed è organizzato per ricordare il decennale della scomparsa di Giulio Cattin e mostrare le testimonianze della sua eredità culturale, anche attraverso un workshop intitolato “Composizione gregoriana ed evoluzione polifonica”; il terzo weekend si svolgerà a Locarno e Orselina il 26 e 27 ottobre con un simposio dedicato alla figura di Luigi Augustoni, scomparso venti anni fa, e un concerto.
La sessione estiva del corso si svolgerà dal 22 al 27 luglio nel Conservatorio di Vicenza e prevede tre moduli indicati con numeri dispari. Nel primo a cura di Riccardo Zoja si studierà il repertorio gregoriano della Messa e dell’Ufficio, con una introduzione alla notazione neumatica e alla Salmodia. Nel terzo a cura di Claudio Accorsi si approfondirà la notazione neumatica nei suoi aspetti semiologici e modali e nel quinto modulo curato da Pietro Magnani si parlerà soprattutto di storia delle forme. Oltre a questi tre moduli in programma ci sono anche due laboratori di esercitazioni corali curati da Giovanni Conti per le voci femminili, e Johannes Berchmans Goeschl per quelle maschili, un laboratorio per i giovanissimi, dai 6 ai 15 anni curato da Franco Radicchia, un corso monografico di Alessandro De Lillo sulle notazioni musicali medievali in Europa, e una lectio magistralis intitolata “Architettura monastica e spazio sonoro” di Eduardo Carrero Santamaría, docente di di Storia dell'Arte medievale dell’Università Autonoma di Barcellona.
Anche i moduli della sessione invernale che si svolgerà a Cremona dal 2 al 5 gennaio 2025 sono tre, e sono contrassegnati con numeri pari perché rappresentano la prosecuzione di quelli iniziati a luglio e dunque sono il loro complemento. Il secondo e il quarto curati rispettivamente da Riccardo Zoja e Luca Ronzitti sono dedicati ai neumi, e il sesto di Giovanni Conti all’analisi e alla interpretazione del gregoriano. A questi si aggiungono i laboratori di esercitazioni corali per voci femminili e maschili, rispettivamente di Marco Marasco e Marco Merletti, e il corso monografico di Clarissa Cammarata intitolato “Dalle Alpi ai Pirenei: la notazione "della Novalesa" e i suoi legami con la notazione catalana”.Abbiamo chiesto a Eduardo Carrero di anticiparci alcuni dei contenuti della sua presentazione, che si potrebbe riassumere con il concetto di base che la chiesa non è un teatro, e da questo derivano le sue considerazioni sul rapporto tra il canto monastico e lo spazio sonoro.
«Nella lezione di Vicenza spiegherò che lo spazio architettonico monastico non era concepito per contenere una esecuzione musicale e che va considerato nella sua prospettiva multifunzionale. Nei grandi edifici come le abbazie di Montecassino o di Cluny, per esempio, la voce umana si perdeva nelle grandi dimensioni dell’architettura monumentale.
Delle celebrazioni liturgiche che si svolgevano nelle chiese nel Medioevo noi oggi abbiamo una percezione errata, perché siamo comunque abituati alla dimensione dell’ascolto nelle sale da concerto e in teatro, ma una cattedrale non è la Scala di Milano... e questa non è musica da ascoltare in concerto, ma è una musica liturgica per l’Ufficio. Il rischio è quello di considerarla come la musica classica, ma è una interpretazione errata.
Evidentemente è impossibile avvicinarci a come la ascoltavano i monaci del XII secolo, ma dobbiamo compiere un esercizio intellettuale per cercare di capire come era percepita la liturgia e ai differenti tipi di persone a cui si rivolgeva. Pensiamo prima di tutto ai monaci, e all’officiante e ai suoi ministri. I fedeli erano pochi e in luogo appartato, e la loro presenza non era significativa, ma questo è cambiato con i francescani e i domenicani che hanno aperto le porte delle loro chiese.
L’architettura del primo romanico di epoca carolingia con le volte di dimensione limitate ha la risonanza perfetta per la voce umana, e per questa ragioni è perfetta per l’esecuzione di una musica vocale intonata da pochi cantori.
Questi spazi erano funzionalmente dinamici e le rappresentazioni dei cosiddetti drammi liturgici, come la Visitatio Sepulchri per esempio, spesso non si svolgevano vicino all’altare maggiore, ma in una “scenografia” differente nelle cappelle laterali o indipendenti. Ma la cosa forse più importante è che la musica era parte integrante di un movimento processionale che si svolgeva lungo i chiostri, nelle navate, e anche fuori sul sagrato della chiesa e all’interno della città creando una interconnessione processionale tra lo lo spazio aperto e quello chiuso.
Gli spazi architettonici di dimensioni minori erano quelli nei quali i monaci cantavano per se stessi. In ogni caso anche in luoghi più grandi il coro ligneo, i paramenti, i tappeti e i tessuti circoscrivevano l’ambiente per evitare che le voci di piccoli gruppi di cantori si disperdessero.
La domanda che resta è come poteva essere intonato il gregoriano in ambienti monumentali...»