Tra i tanti talenti pianistici jazz italiani, quello di Claudio Filippini riveste un ruolo di stimolante transizione: musicista dalla solida preparazione mainstream, ha trovato una propria identità in cui convivono le basi più riconoscibili del linguaggio musicale afroamericano, una freschezza melodica di chiara matrice europea e una curiosità tutta personale che lo spinge a avventurarsi in diverse direzioni.
Alla sua già corposa discografia – prevalentemente per CamJazz – si aggiunge ora Before The Wind, lavoro in trio che conferma la felice complicità con Luca Bulgarelli e Marcello di Leonardo, complicità che si alimenta di una vivace policromia armonica.
Abbiamo incontrato Filippini per una chiacchierata in esclusiva in occasione dell’uscita del disco.
Partiamo da Before the Wind, nuovo capitolo della tua avventura in trio con Bulgarelli e Di Leonardo: come nascono il disco, le composizioni e come lavori sulla musica di questa formazione?
«Before the Wind è il terzo disco di questa formazione per la CamJazz. È un album che segna una svolta importante per il mio approccio alla scrittura e per il modus operandi del trio. Avevo in mente il sound del disco da subito e siccome con Luca e Marcello c'è sempre stata grande sintonia, è avvenuto tutto in maniera molto naturale».
«Quando scrivo le mie composizioni so già che la musica dovrà essere vissuta, storpiata, per far sì che i brani assumano la loro identità e la loro vera forza emotiva ed è per questo che la miccia di ogni disco si accende grazie all'emozione che solamente la musica dal vivo ti può dare: le persone, le loro emozioni, le mie emozioni, gli errori che ti portano dove non avresti mai pensato di arrivare, creando così ogni volta musica sempre nuova».
«Le persone, le loro emozioni, le mie emozioni, gli errori che ti portano dove non avresti mai pensato di arrivare, creando così ogni volta musica sempre nuova».
«All'inizio l'approccio che avevo durante la fase compositiva altro non faceva che frenare la mia creatività. Ora sono più maturo e ho imparato a guidare la mia parte razionale verso ciò che sento veramente.
Solo così i brani possono prendere vita quasi spontaneamente... Il mio mantra è: meno giudizi e più cuore. Mi piace definirmi un "cacciatore di melodie". Metto le mani sul piano ed è lui a indicarmi la strada».
Entriamo allora dentro questo lavoro…
«Il disco contiene le nostre storie, i nostri ricordi ed emozioni. Il titolo dell'album ha un duplice significato: se da un lato il titolo Before the Wind vuol dire "prima del vento", dall'altro significa anche "con il vento in poppa", che è un po’ l'augurio che faccio al trio».
«"Forever" è un brano che racchiude tutta l’emozione che provo a condividere le mie esperienze di vita con Luca e Marcello. Il brano "Goa" invece è la trascrizione di un improvvisazione fatta durante un concerto in India, un ricordo speciale che ha fortificato ancora di più la nostra amicizia».
Torniamo un po’ indietro, alla tua giovinezza a Pescara, città sede di un festival dalla lunga e fantastica storia: quali concerti ti ricordi nei tuoi anni formativi e come la scena pescarese ti ha formato?
«Ho frequentato l'Accademia Musicale Pescarese e sono stato cresciuto musicalmente da grandi artisti ma soprattutto persone straordinarie. Per quanto riguarda i concerti sono tanti quelli che mi porto nel cuore: il Festival di Pescara Jazz è stato determinante per la mia crescita musicale perché grazie a esso ho vissuto il jazz sulla mia pelle».
«Mi piace definirmi un "cacciatore di melodie". Metto le mani sul piano ed è lui a indicarmi la strada».
«Ho avuto la fortuna di confrontarmi con le leggende del jazz mondiale (Sonny Rollins, Elvin Jones, Wayne Shorter, Herbie Hancock) che hanno alimentato in me il desiderio di continuare a studiare con dedizione e curiosità quella musica che un giorno mi avrebbe portato a calcare lo stesso palcoscenico».
Negli anni passati hai inciso anche in trio con Palle Danielsson e Olavi Louhivuori. Qual è il tuo rapporto con il jazz scandinavo? Riconosci nei musicisti del nord un segno (o più segni) distintivo che è significativo anche per la tua musica?
«Mi ritengo una persona fortunata perché ho sempre cercato di assorbire gli insegnamenti dei musicisti con cui collaboro a prescindere dalla loro nazionalità. Ho trovato una scena molto interessante in Scandinavia, ma anche in altri posti del mondo in cui sono stato come ad esempio l'Etiopia, l'Armenia, la Thailandia e certamente gli Stati Uniti. Il jazz parla una lingua universale».
Ci sono colleghi di strumento, in Europa e in America, che ti piacciono particolarmente?
«Molti. Alcuni nomi che mi vengono in mente: Tigran Hamasyan, Fred Hersch, Gerald Clayton, Gwilym Simcock, Kiefer, Jason Moran, Larry Goldings, Django Bates, Bugge Wesseltoft, il compianto Esbjorn Svensson, Joona Toivanen, Tord Gustavsen, Yakir Arbib, Eric Legnini e i compaesani Pietro Lussu, Ramberto Ciammarughi, Domenico Sanna, Julian Mazzariello e Alfonso Deidda».
Negli ultimi dischi stai lavorando molto anche con le tastiere, elemento strumentale che sta tornando piuttosto in voga dopo anni di “purismo” acustico. Con che strumentazione lavori e che ruolo hanno gli strumenti elettrici e elettronici nella tua poetica?
«La necessità di utilizzare suoni elettronici viene forse dalla voglia che ho ogni tanto di cambiare timbro rispetto al tradizionale pianoforte acustico. Oggigiorno le possibilità timbriche per uno strumentista a tastiera sono pressoché infinite. Spesso un suono elettronico, con un timbro particolare può ispirarti anche a suonare diversamente o a cercare strade che non avresti battuto con un pianoforte acustico. Quando lavoro con l'elettronica utilizzo il computer, ma dal vivo preferisco avere un synth "stand alone" a tastiera. Ho diversi strumenti a tastiera e uso un setup diverso di volta in volta a seconda dei progetti con cui suono».
All’attività jazzistica affianchi anche quella di strumentista accanto a musicisti più vicini al mondo del pop, penso a Mario Biondi o Simona Molinari. Solitamente i più maligni non fanno mistero di ritenere che siano più i Filippini a portare qualità ai Biondi o le Molinari (o i Petrella ai Jovanotti, per restare nell’attualità) che non viceversa. Io non voglio metterti nella posizione scomoda di dare dei giudizi su colleghi con cui lavori, ma credo sia estremamente utile, essendo tu persona sincera e intelligente, avere anche qualche tua riflessione in generale su questo tema, specialmente capire come il lavoro dentro a un altro contesto possa far crescere un jazzista.
«Ogni situazione con cui collaboro ha un determinato tipo di gratificazione: a volte artistica, a volte economica, a volte entrambe le cose. Bisogna avere il carattere giusto per affrontare tutte le situazioni al meglio e sentirsi a proprio agio in qualsiasi contesto. Non mi pongo il problema che sia rock, che sia pop, che sia classica o jazz. La cosa importante è mantenere alta la mia integrità e la mia onestà artistica oltre che la mia personalità come pianista. C'è sempre da imparare qualcosa in qualsiasi circostanza».
Chi ti segue su Facebook apprezza la tua grande simpatia e originalità. Nei tuoi post, sempre spiritosi e ironici, fai però spesso riferimenti più o meno velati al mondo del jazz. Ti va di raccontarmi un po’ questi aspetti?
«Quando uso Facebook mi piace ironizzare sulla mia persona, pubblicando a volte dei post surreali oppure faccio della satira spicciola. Mi piace trattare degli argomenti più disparati, dall'attualità, all'arte, agli aneddoti della vita di tutti i giorni. Sulla scia di questo approccio al social ho creato un personaggio immaginario, "il Vecchia", che sta facendo breccia nel cuore di tutti. In realtà non si sa bene chi è, quanti anni abbia e di che sesso sia. Di una cosa siamo certi: dispensa qualsiasi consigli di qualsiasi genere; dalla cucina abruzzese, alla "posta del cuore", a nozioni di armonia avanzata ma sempre in maniera esilarante e grottesca. Ovviamente sfrutto il social anche per pubblicare cose serie che riguardano la mia attività: la mia musica, i miei concerti e le mie passioni».
Cosa ascolta Claudio Filippini in queste settimane?
«In questo periodo sto ascoltando L'incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, i Preludi e Fughe di Cèsar Franck (nell'interpretazione di Sergio Fiorentino), Verklärte Nacht di Arnold Schoemberg e le Sequenze di Luciano Berio. Oltre a questo sto ascoltando Footloose di Paul Bley, Time di Louis Cole e Happysad di Kiefer. Non vedo l'ora di ascoltare Emanon, il nuovo album di Wayne Shorter».
I tuoi prossimi impegni e progetti?
«Oltre ai concerti che seguiranno l'uscita di Before the Wind, tra cui quello alla Casa del Jazz di Roma il prossimo 24 novembre e una tournée in Asia per il prossimo marzo, sto lavorando all'uscita del disco dei Dirty Six: un sestetto formato da Gianfranco Campagnoli alla tromba, Daniele Scannapieco al sax, Roberto Schiano al trombone, Tommaso Scannapieco al basso elettrico, Lorenzo Tucci alla batteria e io al pianoforte. Di questo progetto ho curato la composizione e gli arrangiamenti, e il disco uscirà a gennaio del prossimo anno. Sto collaborando inoltre con il polistrumentista Filippo Bubbico e il suo progetto Sun Village, che ci terrà impegnati in vari concerti tra novembre e dicembre».