A che punto siamo con la libertà artistica nel mondo?

L'annuale report della ONG Freemuse fotografa le molte, drammatiche, violazioni della libertà d'espressione, fino al caso di Grup Yorum in Turchia

Freemuse report 2020
La copertina del report di Freemuse per il 2020
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Le scorse settimane, dolorosamente, hanno registrato tre morti che colpiscono il gruppo musicale Grup Yorum in Turchia. Sono morti a lungo annunciate dallo sciopero della fame contro le ignobili condizioni restrittive del sistema giudiziario e carcerario turco: Helin Bölek è morta il 3 aprile dopo 288 giorni di sciopero della fame; Mustafa Koçak l’ha seguita a distanza di venti giorni, dopo 297 giorni di sciopero della fame; Ibrahim Gökçek, bassista di Grup Yorum, è morto il 7 maggio, dopo 323 giorni di sciopero della fame. 

Mustafa Koçak era stato arrestato in base ad accuse pretestuose, il 23 settembre 2017, e poi condannato all’ergastolo. Helin Bölek, la cantante del gruppo, curda, era stata arrestata nel centro culturale di İdil a Istanbul a novembre del 2016, insieme ad altri sette membri del gruppo. Nati nel 1985, 23 album all’attivo, a Grup Yorum era stato imposto da anni il divieto di suonare in pubblico, e il loro centro culturale è stato perquisito e chiuso dieci volte in due anni. Sei dei suoi membri sono ancora in carcere. 

Per denunciare quest’evidente censura e discriminazione, Bahar Kurt, Barış Yüksel e Ali Aracı cominciarono lo sciopero della fame il 17 maggio 2019; due settimane dopo a loro si unirono Helin Bölek e Ibrahim Gökçek. Al funerale di quest’ultimo la polizia è intervenuta per impedire la commemorazione e ha arrestato dieci persone, utilizzando l’emergenza per la pandemia in corso per bloccare l’accesso al quartiere e impiegando veicoli antisommossa per bloccare gli ingressi. Fra le persone arrestate ci sono i membri di Grup Yorum Eren Erdem e Dilan Poyraz e gli avvocati Didem Baydar Ünsal, Seda Şaraldı e Doğa İncesu.

La polizia, dopo aver sfondato la porta, ha invaso l’interno del luogo di preghiera utilizzando gas lacrimogeni e proiettili di gomma; ha poi “confiscato” la salma di İbrahim Gökçek senza ulteriori comunicazioni su dove sia stato portato.

Le quattro richieste dei membri di Grup Yorum riguardano libertà fondamentali: fermare i raid polizieschi che impediscono il funzionamento dell’Idil Cultural Center; togliere dalla lista degli indiziati i membri del gruppo; permettere i concerti di Grup Yorum (al bando da tre anni); rilascio dei membri arrestati.

Colpisce la disattenzione dei media italiani per quel che succede nel Mediterraneo: il titolo di “Repubblica” del 3 aprile in merito alla morte di Helin Bölek sbaglia perfino il numero di giorni di sciopero della fame della cantante (scrivendo 228 invece di 288). Chi si è ricordato di loro in questi anni? Chi ha informato sul fatto che Helin Bölek e Ibrahim Gökcek la notte dell’11 marzo erano stati nuovamente arrestati e condotti all’Ümraniye Training and Research Hospital, dove erano stati alimentati contro la loro volontà per cinque giorni?

Storie come quelle dei membri di Grup Yorum danno volto alle cifre contenute nel rapporto “State of Artistic Freedom”, che documenta le vicende di quasi 160 artisti detenuti in una trentina di paesi. L’edizione 2020 del rapporto è stata diffusa da Freemuse ad aprile 2020, a più di vent’anni dalla prima World Conference on Music and Censorship che si tenne a Copenhagen. Proprio quella conferenza generò l’organizzazione internazionale Freemuse, fondata nel 1998 da Marie Korpe, Ole Reitov, Krister Malm, Klaus Slavensky e Gerald Seligman. Inizialmente, Freemuse prese in considerazione solo le politiche e gli atti di censura, ma dal 2011 l’osservatorio si è allargato alle limitazioni delle libertà di espressione artistica e creativa in tutte le sue forme, soprattutto con la promozione di Artsfex, rete mondiale di organizzazioni, istituzioni e giuristi per la salvaguardia delle libertà artistiche. 

Freemuse - State of artistic Freedom

Divenuto un appuntamento annuale, vale la pena leggere l’edizione 2020 a confronto con quella precedente, “State of Artistic Freedom 2019”. 

Nel 2019 Freemuse registrava (per il 2018) 673 violazioni delle libertà di espressione artistica e pratiche di censura in almeno 60 paesi, a scapito di oltre 1.800 artisti e opere d’arte, evidenziando come la musica, i film e le arti visive siano le tre forme d’arte più discriminate. 

Nel 2020 l’analisi si è concentrata su 711 violazioni delle libertà di espressione artistica e pratiche di censura (352 nel 2019) in 93 paesi.

Nel 2019 ci sono state 711 violazioni delle libertà di espressione artistica e pratiche di censura in 93 paesi, e 156 incarcerazioni di artisti.

Il quadro nel rapporto del 2019 era già piuttosto preoccupante: in 55 paesi veniva limitata la libertà di espressione dei musicisti; un terzo dei casi documentati riguarda tre stati: Nigeria, Russia e Turchia. Ma se osserviamo le pratiche di detenzione degli artisti, soprattutto musicisti, l’ambito si allarga in particolare a Spagna, Russia, Turchia e Egitto nel Mediterraneo, a Cina, Iran e Cuba. In totale sono 157 gli artisti di cui è era stata documentata la detenzione in 29 paesi. 60 artisti sono stati condannati: 14 in Spagna, 11 in Cina, 9 in Turchia, 9 in Iran, 8 in Egitto, 2 in Russia e 1 in Israele, Malawi, Malesia, Oman, Arabia Saudita, Somalia, Tunisia

Il rapporto del 2020 documenta, per il 2019, 156 incarcerazioni (71 artisti imprigionati e 85 che hanno subito periodi di detenzione), ed altri 23 casi di pressioni e indagini.

In gran parte dei casi, la scorciatoia per incarcerare gli artisti è l’accusa di terrorismo, ma si ricorre anche a quella di condotta dissoluta, di oltraggio alla religione o alle istituzioni, di incitamento alla sovversione.

Nel 2018 almeno quattro artisti sono stati uccisi, due in Pakistan, uno in Brasile e uno in Bangladesh. Nel 2019 le uccisioni documentate sono salite a nove: due in Uganda, e altre in Cile, Colombia, El Salvador, Iraq, Mali, Russia, USA.

Sono 9 gli artisti uccisi nel corso del 2019, in Cile, Colombia, El Salvador, Iraq, Mali, Russia e Stati Uniti.

Altri artisti sono stati attaccati violentemente. Sono particolarmente colpite le opere d’arte prodotte da artiste donne, LGBTI, e appartenenti a minoranze – o dedicate a questi gruppi. Cina, Stati Uniti e Turchia sono i paesi si registra il maggior numero di violazioni dei diritti di artisti legati alle minoranze. In 20 paesi vengono prese di mira le opere di artisti LGBTI con oltre la metà dei casi registrati in paesi che non criminalizzano l’omosessualità. Preoccupa, in particolare, quel che sta avvenendo in ventidue paesi: Cina, Croazia, Cuba, Egitto, Germania, Ungheria, India, Iran, Israele, Nigeria, Pakistan, Polonia, Russia, Arabia Saudita, Serbia, Spagna, Tanzania, Turchia, Uganda, Ucraina, USA e Uzbekistan. La musica resta la forma d’arte più colpita e ormai quasi il 60% delle forme di censura digitali sono attuate direttamente da piattaforme di social media e da portali Internet.

La musica resta la forma d’arte più colpita e ormai quasi il 60% delle forme di censura digitali sono attuate direttamente da piattaforme di social media e da portali Internet.

I rapporti di Freemuse – scaricabili gratuitamente qui – sono organizzati in quattro parti. Le prime pagine, soprattutto a uso dei media, presentano una serie di elaborazioni grafiche che sintetizzano le cifre monitorate; il secondo capitolo, più narrativo, entra nel merito del tipo di violazioni e delle tendenze emerse nell’anno precedente; prima delle conclusioni e raccomandazioni finali, il terzo capitolo entra nel merito di paesi dove la situazione viene considerata particolarmente preoccupante in merito alla censura e alla libertà di espressione artistica. Come ricordato, nel 2019 erano 22 (fra questi, nel continente europeo, troviamo Croazia, Germania, Polonia, Russia, Serbia, Spagna, Ucraina, Ungheria); nel 2020 sono 13 (fra cui Francia, Russia, Turchia).

A differenza dei social media di Freemuse, che regolarmente presentano casi specifici con nomi e volti, documentando storie di violazioni individuali e di gruppo, il rapporto risulta relativamente asettico: un lavoro di sintesi più attento alle statistiche che ai singoli casi. Mancava, per esempio, qualsiasi menzione a Grup Yorum, pesantemente sotto attacco già alla fine del 2017 e in sciopero della fame nel 2018, e che è invece ben presente nell’edizione 2020. Rimane, in entrambi i rapporti, la mancanza di attenzione per paesi duramente colpiti in questo ambito, come la Siria che viene menzionata solo in relazione alle restrizioni USA nei confronti degli artisti provenienti da Iran, Iraq e, appunto, Siria. 

A questo proposito, registriamo il passo avanti compiuto con il processo di Koblenz in Germania, sorta di “Norimberga siriana”, in cui uno dei testimoni è il musicista e attivista Wassim Mukdad, intervistato il 23 aprile da Costanza Spocci su RadioTre.

«Tutto è iniziato nel 2011, quando ho iniziato a prendere parte alle manifestazioni che chiedevano maggior libertà in Siria. […] Sono stato torturato durante l’interrogatorio. […] era qualcosa di sistematico. Durante la detenzione non ci era possibile contattare il nostro avvocato e nemmeno le nostre famiglie o amici. Nessuno ti dice nulla. Non era solo una tortura fisica, ma anche psicologica. […]  Non sapevo che i gruppi per i diritti umani in Europa stessero preparando un dossier per aprire questo caso e andare a processo contro ufficiali siriani. L’anno scorso, per puro caso, ho incontrato un’amica avvocatessa a Berlino e mi ha chiesto di testimoniare contro Anwar Raslan e Eyad al-Gharib […]. Credo che questo processo sia un’occasione per far sentire la voce delle vittime, di chi è ancora vivo e di chi è morto, se c’è un modo per restituire dignità alle vittime, render conto delle loro sofferenze di dire chiaramente e ad alta voce: questo non è accettabile. Se questo processo avrà un esito positivo, lo sarà per tutta l’umanità»

 

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