Generalmente non riflettiamo abbastanza, durante l’ascolto di una registrazione musicale, sul ruolo che gioca l’ambiente dove questa è stata realizzata. Che questo sia un tecnologico studio di registrazione o un caloroso stadio, un elegante teatro o l’intimità di un club, siamo così coinvolti da ciò che ascoltiamo che questo elemento poco ci interessa, al limite ne prendiamo atto senza dargli peso. Un vuoto che non ci permette di comprendere appieno i piani psicologici, emotivi, comunicativi e logistici, che vive, esprime e subisce l’artista sul palco, qualunque esso sia, da quello mega dei concerti pop-rock fino al tappeto di una sala da concerto. Di conseguenza non ci permette nemmeno di capire quanto il dove incida sul messaggio musicale così strettamente legato alla condizione vissuta dal musicista in quel luogo, in quel momento.
Questa considerazione è stata suscitata dalla lettura del messaggio, scritto a penna su un foglietto tipo carta da pacchi, della flautista Rosa Parlato che accompagnava il cd Bise Improvvisations aux flûtes traversières (Setola Di Maiale) del duo Isophone composto dalla musicista italiana, che vive in Francia, e la collega Claire Marchal. Nelle righe finali del messaggio la Parlato evidenziava che il concerto era stato registrato nel 2018 all’interno del reparto oncologico dell’Ospedale di Lille.
Qui che è scattato il condizionamento poi spalmato per tutto l’ascolto. Quanto, nella complessa procedura introspettiva dell’improvvisazione, lo spazio non usuale, l’ambiente, la vicinanza al dolore, il pubblico (medici, infermieri, operatori sanitari e pazienti, quelli che potevano, gli allettati ascoltavano dalle loro camere) ha influenzato lo sviluppo del dialogo tra i due flauti, ovvero la musica? In ulteriori scambi via mail la musicista precisava che il concerto faceva parte di un progetto specifico per l’ospedale – oltre all’improvvisazione, musica classica, jazz, affiancati dalla mostra del pittore Patruck Dupretz – curato da Benoit Ganoote, terapeuta ma anche musicista.
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In una intervista di qualche tempo fa un compositore definiva il flauto «suono primordiale, suono nomade per eccellenza, strumento che appartiene al bagaglio a mano dell’umanità» Mi è tornata in mente questa stimolante riflessione ascoltando gli incroci del duo Isophone. In Bise “isofono”, come fenomeni sonori che si possono ritenere uguali, supera una meccanica classificazione linguistica. Così come nelle sequenze improvvisate vengono rovesciati molti canoni stilistici tradizionali dello strumento a favore di una radicale ricerca sonora. Niente di nuovo in verità, nella musica contemporanea, così come nel rock e nel jazz, i linguaggi del flauto hanno da tempo sviluppato affascinanti percorsi. Ma la Parlato e la Marchal riescono nel dialogo a due a garantire una poetica coinvolgente salvaguardando quel carattere ancestrale, che pare indissolubile, macchiandolo costantemente con un retrogusto marcato all’interno di uno sguardo visionario e aperto. Rischiando, guardandosi, allontanandosi, scontrandosi, affiancandosi in percorsi condivisi.
L’evocazione dei venti nei titoli delle otto improvvisazioni, venti caldi e polverosi, o umidi e freddi, tempestosi o leggeri, che arrivano con i loro nomi mitologici e avventurosi da tutte le terre del mondo, ben aderisce ai percorsi intrapresi dalle musiciste. Rafforza le visioni disegnate e amplificate da suoni misteriosi, dialoghi astratti, slap, armonici vaganti, sospiri seducenti. Le due flautiste si riflettono ma è come se usassero specchi deformanti per non cadere in luoghi comuni, per mettere in gioco personalità diverse, per non rimirarsi ma guardare oltre. Lo fanno anche usando, oltre i flauti in do e in sol, il flauto basso, l’ottavino e il traverso barocco, ma anche fischietti e bottiglie per moltiplicare le possibilità esplorative del suono. Il luogo poi come valore aggiunto, come un ombra nello sfondo, contenitore di storie dolorose riverbera la sensazione di una musica inclassificabile e libera offerta, quasi con soggezione, a persone fragili probabilmente più sensibili nel comprenderne il vero valore profondo.
Abbiamo colto l'occasione dell'uscita del disco per conversare con Rosa Parlato e Benoit Ganoote.
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Il duo Isophone è nato per il progetto dell’Ospedale di Lille o ha esperienze precedenti? Perché la scelta di affiancare due flauti?
ROSA PARLATO: «Isophone è nato un po' prima di questo progetto, ma è un duo recente. Aveva già suonato in altri festival d’improvvisazione della regione. Due flauti perché i timbri gemelli costituiscono dei processi di composizione interessanti basati sulla fusione e sull’imitazione. Processi che inducono quasi una positiva perdita di identità individuale».
Lei e Claire Marchal come avete reagito alla proposta di Benoit Ganoote?
«Con entusiasmo, ma devo confessare, anche con apprensione. Il progetto si è svolto in una unità di cure palliative. Come non lasciarsi sopraffare dalle emozioni di tale contesto, con un pubblico condannato alla malattia?».
La scelta di dedicare le otto improvvisazioni ai venti rivela un particolare valore evocativo?
«In francese gli strumenti a fiato sono detti “les vents”; in siciliano “sciatu miu” significa “fiato mio, anima mia”; sono associazioni di idee alquanto improbabili, ma indubbiamente c’è un valore evocativo nella scelta dei titoli… Le otto improvvisazioni dedicate ai pazienti dell’Ospedale hanno diversi colori, e diverse dinamiche, come i venti dei titoli. Vengono da ovunque ed ora accarezzano e ora travolgono».
Come ha vissuto questa esperienza?
«Conservo il ricordo di una forte connessione con il pubblico, una sorte di ascolto reciproco di suoni ed emozioni. Dei vasi comunicanti».
Come siete state accolte dal personale, in particolare dai pazienti? Avete avuto la possibilità di scambiare impressioni, riflessioni, con loro?
«Sì, nel dialogo con i pazienti che ha seguito il concerto, una anziana signora ci ha detto “Ma la vostra non è musica, è teatro. Ho visto dei personaggi, la campagna, le galline…”. Era molto divertita e ha strappato il silenzio con grandi risate».
«Ma la vostra non è musica, è teatro. Ho visto dei personaggi, la campagna, le galline…»
La scelta di produrre Bise con questi materiali significa che anche se decontestualizzati mantengano un proprio valore comunicativo ed estetico?
«La registrazione è stata fatta innanzi tutto per rendere possibile l’ascolto del concerto ai pazienti immobilizzati nei loro letti per ragioni mediche. Coscienti del fatto che la registrazione della musica improvvisata è quasi un controsenso per alcuni, seriamo che la produzione di questo disco possa testimoniare la nostra volontà di condivisione artistica e umana. Lo consideriamo come una fonografia di un momento di vita. Lasciamo agli ascoltatori la libertà di valutarne il valore comunicativo ed estetico».
Benoit Ganoote, il progetto da lei curato per il reparto oncologico dell’Ospedale di Lille prevedeva stimoli sonori (musica classica, jazz, improvvisazione) e visivi (la mostra di Patruck Dupretz). Questa scelta si basava su precedenti esperienze di questo tipo?
BENOIT GANOOTE: «Si tratta di un progetto realizzato in una struttura ospedaliera all’avanguardia dal punto di vista culturale (sedute di musicoterapia, concerti di musica classica). Nel 2010, in occasione dell’inaugurazione del nuovo Ospedale, Jean Claude Casadeus venne a dirigere l’Orchestra Nazionale di Lille (O.N.L.). In seguito “Chambre à part”, una associazione di musicisti della stessa orchestra, continuò a intervenire nell’Ospedale con una serie di concerti regolari. Un fattore importante da considerare è che tutte le azioni artistiche sono basate sul volontariato e questo mette in evidenza l’incidenza del piano umano. Ci sono stati anche altri progetti sostenuti dalla Regione (Hauts de France) che hanno beneficiato di fondi pubblici, fra i quali la realizzazione di un disco con la partecipazione dei pazienti».
«Gli assi importanti del progetto da me condotto sono stati: la volontà di allargare gli orizzonti culturali includendo la musica jazz, la musica popolare e l’improvvisazione libera, la creazione di laboratori d’improvvisazione per musicisti e pazienti, la registrazione e la diffusione dei concerti su supporti multimediali presenti in ogni camera con l’obiettivo di renderli accessibili ai pazienti allettati, la creazione di legami fra diverse strutture ospedaliere per ampliare il tessuto dei concerti e dei laboratori, l’intervento diretto dei musicisti nelle camere dei pazienti sotto forma di mini concerti individuali, la composizione di brani dedicati ai pazienti ed al corpo medico».
Rimanendo nell’ambito musicale, ha notato differenti reazioni comportamentali ed emotive nei pazienti-ascoltatori rispetto ai diversi linguaggi proposti?
«Le reazioni emotive sono certamente legate alle diverse sensibilità degli ascoltatori come in qualsiasi altro contesto. Tali reazioni si sono manifestate però in modo più pronunciato rispetto a un pubblico convenzionale, favorite da una condizione psicologica particolarmente ricettiva. Mi sembra interessante parlare d’intensità d’ascolto».
La moderna musicoterapia evidenzia che l’utilizzo di materiale sonoro, in particolare l’improvvisazione musicale, nella terapia ricettiva di gruppo sviluppi una capacità di ascolto e coinvolgimento emotivo più profondo. Nell’esperienza di Lille lei ha verificato questa teoria?
«Non mi sembra che la capacità d’ascolto, il grado d’empatia siano stati più accentuati durante i laboratori d’improvvisazione. A mio avviso si è trattato piuttosto di un momento di scambio privilegiato che ha permesso di far emergere ricordi di carico emotivo molto forte permettendo di dimenticare un quotidiano colmo di momenti difficili da affrontare. A volte il cammino tra le difficoltà ti fa sentire solo, l’improvvisazione musicale ci riporta all’ascolto reciproco, al piacere della sorpresa. L’improvvisazione libera è una musica collettiva che favorisce il benessere individuale e permette ai pazienti di esprimere delle emozioni che non sarebbero nate ed emerse altrimenti.
«L’improvvisazione libera è una musica collettiva che favorisce il benessere individuale e permette ai pazienti di esprimere delle emozioni che non sarebbero nate ed emerse altrimenti».