Binker & Moses, attenti a quei due

Il nuovo disco e il primo concerto italiano di Binker & Moses, nuove stelle del jazz inglese, a Novara Jazz

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Si chiamano Binker Golding e Moses Boyd. Sassofono il primo, batteria il secondo. Per tutti semplicemente Binker & Moses.

Negli ultimi due anni hanno fatto man bassa di premi e riconoscimenti: Best Jazz Act ai MOBO Awards del 2015, UK Jazz Act of the Year e Breakthrough Act of the Year ai Jazz FM Awards 2016 e Jazz Newcomer of the Year ai Parliamentary Jazz Awards.

Niente male per un duo di musicisti appena trentenni, con un disco d’esordio alle spalle – Dem Ones – e un crescente stuolo di ammiratori, in particolare in Inghilterra (loro patria) e in Europa. Un po’ meno in Italia, dove la curiosità per quello che non è già pre-digerito e a portata di mano è sempre un po’ scarsa, ma dove potrebbe fare centro il nuovo disco, in uscita in questi giorni per la Gearbox Records, Journey to the Mountain of Forever.

Il giovane duo sta attirando anche l’interesse di molti ascoltatori giovani che magari fino a oggi hanno avuto con il jazz un rapporto superficiale (quando non assente) e che magari ignorano chi sia John Coltrane o Max Roach. Ma l’accostamento a fenomeni come Kamasi Washington sembra più pretestuoso che consistente, al di là del, comunque benvenuto, appeal presso nuovi potenziali fan. La natura stessa del duo – sassofono batteria, respiro e battito, urlo e ritmo – non lascia spazio a particolari strizzate d’occhio.

Il nuovo Journey to the Mountain of Forever è un doppio album che vede la partecipazione di ospiti interessantissimi come il sassofonista Evan Parker, il trombettista Byron Wallen, l’arpista Tori Handsley, il percussionista di tabla Sarathy Korwar e il batterista Yussef Dayes del duo Yussel Kamal (formazione che in qualche modo condivide con i nostri la natura “binaria”, essenziale e groovy). Binker & Moses lo presenteranno in prima e esclusiva italiana al festival Novara Jazz, la sera di venerdì 9 giugno sull’affascinante palco del Broletto.

Si tratta di un lavoro che espande la loro intesa verso terreni nuovi e in parte sconosciuti, come suggerisce la grafica di copertina, di chiaro sapore fantasy, più vicina alle cose di Roger Dean per gli Yes che non al rigore geometrico di un vecchio vinile Blue Note.

E allora conosciamoli, questi due musicisti, che si sono concessi con generosità alle nostre domande.

Parliamo subito di Journey to the Mountain of Forever. Come avete lavorato a questo nuovo disco – il comunicato stampa dice che lo avete registrato in sole 48 ore! – e come lavorate anche in genere: partite da materiali scritti, da improvvisazioni?

MOSES BOYD: «È proprio così, abbiamo passato due giorni in in studio e laddove il precedente Dem Ones era stato registrato di getto in poche ore, qui siamo stati molto più organizzati sia dal punto di vista musicale che logistico. Nel primo disco di Journey, nonostante sia ampiamente improvvisato, la struttura della musica è quella che avevamo già sperimentato a lungo dal vivo nei mesi precedenti. Il secondo disco invece, quello sì è stato completamente improvvisato, niente di scritto, pura vibrazione!».

BINKER GOLDING: «Penso che lo abbiamo registrato in 48 ore, ma che a noi sono sembrate 48 ore filate (credo che in mezzo abbiamo dormito al massimo qualche ora), ma avevamo un team di collaboratori fantastico, il migliore che potessimo desiderare, quindi quei due giorni intensi non sono stati un problema. Come dice Moses, per Dem Ones ci avremo messo al massimo quattro ore, quindi stavolta ci è andata di lusso. Quel disco sì era completamente improvvisato, mentre adesso ci piaceva contrapporre nei due dischi il processo compositivo/improvvisativo e quello totalmente improvvisato».

Qual è la storia che sta alla base del disco? Vedo che la copertina evoca scenari fantasy…

MOSES BOYD: «Visivamente volevamo proprio “quella” fantasy, quell’immagine fantascientifica che riecheggia gli anni d’oro del rock progressivo. L’artista Jim Burns ha fatto un lavoro eccellente nel ricreare quel mood e nell’evocare quel viaggio sonoro che sentivamo essere giusto per un disco doppio come il nostro».

BINKER GOLDING: «Alla fine la storia è un semplice viaggio dalla realtà all’irrealtà, o, se preferisci, da ciò che è familiare a ciò che ci è estraneo, forse anche dalla vita alla morte e oltre. Dipende tutto da come l’ascoltatore decide di vederla. In fondo non ci piace raccontare troppo a questo proposito, preferiamo che ciascun ascoltatore si formi una propria opinione sul significato del viaggio. Puoi provare a immaginarlo come un collegamento tra Il Signore degli anelli e La montagna sacra di Jodorowsky. Tieni conto che mia mamma mi ha chiesto il significato del disco e io non gliel’ho svelato!».

Tra gli ospiti del disco ci sono musicisti molto particolari come Tory Handsley, Sarathy Korwar o Evan Parker, musicisti che suonano quindi strumenti non comunissimi come l’arpa, le tabla, o che hanno uno stile unico come Parker sul sassofono… Cosa vi interessa in particolare di uno strumento o di un suono?

MOSES BOYD: «Credo ci abbia interessato più la loro musicalità che non lo strumento in questione. Tranne con Evan Parker, avevamo già suonato o avevamo dei contatti diretti con tutti i musicisti che abbiamo coinvolto nel disco e sentivamo di volere il loro suono nel nostro progetto. Nel caso di Evan lo ammiriamo da sempre e volevamo collaborare con lui… era davvero surreale sentire quanto fosse dentro le cose che facevamo, averlo lì con noi».

BINKER GOLDING: «Questi artisti ci interessano ciascuno a suo modo e, certo, anche gli strumenti che suonano ci interessano, ma non quanto la loro personalità. Pensavamo che avrebbero funzionato assieme e che sarebbero riusciti a creare quel suono che avevamo in testa. Credo che la lista di ospiti del disco sia una selezione parziale dei più interessanti improvvisatori in circolazione al momento».

So che siete collezionisti di dischi. Sbirciamo allora nelle vostre collezioni e cerchiamo di capire le vostre influenze, sia in termini di dischi che di musicisti… vediamo poi se c’è qualche disco di sassofono e batteria che vi piace particolarmente.

MOSES BOYD: «Un po’ di tutto, sai, se devo essere sincero. I Cymande sono una delle mie band preferite, così come Wayne Shorter, Miles Davis, Madlib, Sly And The Family Stone, Jimi Hendrix e i Led Zeppelin. Ho una passione per le cose “vecchie”, le trovo anche più facili da cercare e scoprire. Ovviamente ascolto anche cose nuove, ma non riesco a stare dietro a tutto. Ultimamente sono in fissa con i dischi in duo di Max Roach, sia quelli con Archie Shepp che quelli con Anthony Braxton, incredibili…».

BINKER GOLDING: «Moses è quello che colleziona i vinili, io colleziono cd. Ne ho migliaia. Tra i dischi jazz che più mi hanno colpito e influenzato ci sono Crescent di John Coltrane, Saxophone Colossus di Sonny Rollins, The State of the Tenor di Joe Henderson e Tales from the Hudson di Michael Brecker. Ma ascolto anche altri generi, soprattutto classica. Compositori come Nancarrow, Ligeti, Boulez, Stockhausen, Gerard Grisey, Beethoven e ovviamente molti altri hanno avuto un forte ascendente su di me. E poi amo il rock e l’hip-hop: The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, Close to the Edge degli Yes, IV dei Led Zeppelin, Electric Ladyland di Jimi Hendrix, così come It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back dei Public Enemy mi hanno molto ispirato. Per quanto riguarda i dischi di sax e batteria, non ce ne sono poi tantissimi tra cui scegliere: il mio preferito è Interstellar Space di John Coltrane e Rasheed Ali. Roba tosta da ascoltare, ma un capolavoro».

Qualcuno considera Binker&Moses tra gli alfieri di un jazz capace di raggiungere un nuovo pubblico, ascoltatori più giovani che sono abituati all’elettronica, all’hip-hop e così via. Cosa ne pensate?

MOSES BOYD: «Penso che sia super! Se le persone la vedono in questo modo, vuol dire che stiamo facendo un buon lavoro. Io credo che le persone siano più aperte a tutti i generi e non credo che il jazz sia una cosa che considerino separata dalle loro abitudini di ascolto».

BINKER GOLDING: «Prima di tutto penso che si debba sempre cercare di allargare la base del pubblico del jazz. Se guardi al pubblico mentre suoni e vedi che non c’è nessuno della tua età tra di loro, stai probabilmente facendo qualcosa di molto sbagliato o di musicalmente disonesto. Credo che siamo stati in grado di incuriosire molti giovani a questa musica e forse per qualcuno siamo stati anche la prima “introduzione” a questa musica, non posso esserne sicuro, ma forse sì. Ma lo abbiamo fatto semplicemente essendo noi stessi. Non dobbiamo vestirci eleganti, richiedere il silenzio totale o suonare in club che nessuno ha mai sentito nominare per fare quello che piace. Suoniamo con gioia in un locale noise-rock e i ragazzi della nostra età sono abituati a questo. È qualcosa di familiare che non fa percepire loro la musica come ostile. Ovviamente il pubblico ideale è quello in cui stanno insieme giovani e meno giovani, magari in compagnia dei loro bambini e la musica arriva a ciascuno in modo diverso. A me piace avere gente diversa nel pubblico, perché credo che la musica debba andare oltre ogni età, cultura, possibilità economiche, e così via…

Cosa state ascoltando in queste settimane?

MOSES BOYD: «Di tutto, il nuovo disco di J-Hus, quello di Dev Hynes/Blood Orange che ascolto a ripetizione. Ma anche un sacco di ambient/noise techno come Surgeon o Container».

BINKER GOLDING: «Partiels di Gerard Grisey e Coloured Noise dell’austriaco Wolfgang Mitterer . Due pezzi pazzeschi di compositori incredibili. Mi piace la musica che ha a che fare in prima istanza con il suono stesso. E poi sto ascoltando il duo tra Joshua Redman e Brad Mehldau».

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