In una Biennale Musica che si preannuncia ricca di appuntamenti in qualche modo inconsueti rispetto alle linee più tradizionalmente legate al mondo della composizione accademica, si segnala come particolarmente stimolante il progetto Glockenbuch IV del compositore tedesco Marcus Schmickler, che utilizzando suoni registrati, analizzati e risintetizzati di singole campane creerà martedì 24 ottobre un’esperienza immersiva di deep-listening, una sorta di mappa acustica di Venezia.
Abbiamo raggiunto Schmickler durante la preparazione del lavoro per una chiacchierata esclusiva.
Vorrei iniziare la nostra conversazione dall'indice all'origine dell'intero progetto, il Libro delle Campane della Città di Colonia. Come lo hai scoperto e come questo documento ha stimolato il tuo interesse per il suono delle campane?
«Un paio di anni fa, la mia amica Regina Fiorito, direttrice della Capitain Gallery, mi parlò di questo libro durante una delle nostre conversazioni. Amo molto questo tipo di cataloghi indicizzati, così quando mi è stata offerta una commissione per un nuovo lavoro per St. Aposteln, la seconda chiesa più grande della mia città, mi è venuto subito in mente questo. Forse mi piacciono gli indici perché queste informazioni uniformi possono essere facilmente trasformate in un altro supporto».
«Quando ho dato un'occhiata al Glockenbuch, la mia prima sorpresa è stata che un indice di 900 pagine fosse disponibile per chiunque. Il mio pensiero è stato forse un po' ingenuo, sapendo che la Chiesa cattolica, in quanto grande protagonista del settore immobiliare, ha bisogno di un'adeguata contabilità – le diocesi tengono traccia di tutti i loro beni. Ma la natura del libro è stata comunque un po' una sorpresa: il libro contiene non solo i nomi e i costruttori delle campane di circa 800 chiese di Colonia, il loro anno e le loro misure, i pesi e i tipi di costruzione, ma anche le loro caratteristiche musicali, i fondamentali, i parziali e i corsi di decadimento».
«Così il mio impulso immediato è stato: posso usare il libro e sonificare i suoi dati. Non tutto funzionava bene, ma ci sta, fa parte del gioco e nella storia della musica elettronica, la composizione dei suoni stessi e la sintesi di spettri di tipo campanario in particolare sono stati un argomento costante fin dai suoi inizi».
Ricordo che molti anni fa l'artista spagnolo Llorenç Barber aveva intenzione di "suonare" le campane di Venezia in un grande concerto, come è stato il tuo approccio alle campane di Venezia? Cosa ti ha colpito in particolare del complesso mondo delle campane della città?
«Il mio approccio è stato un po' più modesto: la direttrice Lucia Ronchetti aveva sentito parlare della mia serie di pezzi basati sulle campane e così ci siamo messi a parlare. Il fatto che le campane possano essere considerate un mezzo di comunicazione di massa precoce, forse il più antico della storia, può essere rintracciato in particolare a Venezia. L'idea di una mappa acustica della città che si naviga in base alle sue proprietà acustiche sembra particolarmente suggestiva, oltre che in stretto contatto con l'ecologia acustica del Rinascimento. Ma anche in senso moderno, Venezia è probabilmente uno dei luoghi più profondamente quantificati e misurati al mondo e conserva ancora alcuni segreti».
«Così, parlando con architetti e storici, mi sono messo a studiare quali chiese sarebbero state particolarmente interessanti per questo progetto. Con l'aiuto del team di produzione della Biennale, abbiamo cercato di capire anche quali di queste chiese sarebbero state interessate ad aprire le loro porte per un progetto del genere, perché non tutte lo sono, come si può immaginare».
«San Marco ha altri problemi che non avere a che fare con un compositore che vuole salire sul suo campanile armato di microfono».
«San Marco, ad esempio, ha altri problemi che non quelli di avere a che fare con un compositore che vuole salire sul suo campanile armato di microfono».
Mentre ti sto facendo queste domande, le campane della chiesa dei Frari qui vicino casa mia a Venezia hanno iniziato a suonare e sono così forti che quando succede riesco a malapena ad ascoltare un disco o a fare una telefonata o una call su Zoom!
«Sì, le campane sono molto rumorose. Ma di solito hanno anche un effetto calmante».
Negli ultimi anni, diversi studiosi hanno evidenziato come la mappatura e l'ascolto dei suoni delle città possano essere un formidabile strumento per responsabilizzare i cittadini di fronte ai cambiamenti sociali, antropologici e climatici. Venezia è certamente un luogo dove questi cambiamenti mostrano aspetti violenti e radicali. Pensi che l'effetto dirompente di progetti come Glochenbuch IV possa contribuire a questa presa di coscienza?
«Sì! I progetti di arte sonora, compresi quelli che coinvolgono la musica elettronica e la sound art, possono essere un mezzo potente per trasmettere le complesse questioni che le città devono affrontare. Per il pubblico, possono evocare emozioni, raccontare storie e fornire una prospettiva unica sulle trasformazioni urbane».
«Oltre a dare potere alle voci e a promuovere uno spazio per tutti, le campane sono anche un emblema di potere e gerarchia. In una città come Venezia, con il suo patrimonio culturale e ambientale unico, la mappatura sonora può svolgere un ruolo di documentazione e conservazione degli ambienti acustici tradizionali, minacciati da vari cambiamenti, tra cui l'innalzamento del livello del mare e l'impatto del turismo».
«Progetti come Glockenbuch IV possono promuovere un senso di comunità e di identità condivisa tra i residenti appassionati dei suoni della loro città. Creare connessioni e capitale sociale da spendere poi, volendo, con la classe politica».
Senza svelare troppo, ci dici brevemente cosa deve aspettarsi una spettatrice o uno spettatore al Teatro alle Tese?
«La campana al microscopio. La fusione di una campana sintetica, basata sulle caratteristiche delle campane originali di Venezia. Un'esperienza imitativa di suono e luce. Ho decostruito e ricostruito il suono di diversi campanili e campane di Venezia, ma ne ho aggiunti anche altri. Non ho potuto fare a meno di aggiungere ricostruzioni di campane dell'Ucraina e della mia città natale».
«Il suono ascoltato in concerto potrebbe risultare piuttosto insolito per molti ascoltatori, forse addirittura confuso o alienante. Spero che possiate seguire la scoperta dei suoni reali generati dagli algoritmi, ma anche il pubblico che ha familiarità con la musica elettronica potrebbe trovarlo insolito. Ci saranno anche alcune citazioni nascoste, cenni ad alcuni grandi compositori di Venezia, per esempio».
Come hai lavorato con Marcel Weber/MFO per l'illuminazione della performance?
«Per lo più lascio a lui il compito di decidere cosa è meglio. Gli ho proposto di inviargli i dati di controllo del tempo per la spazializzazione del suono e sono curioso di sapere che cosa ne verrà fuori!»
Per molti appassionati che seguono la musica creativa da qualche anno, il nome di Marcus Schmickler evoca immediatamente i dischi post-rock a nome Pluramon, ma ricordo anche quanto sia stato fondamentale l'ensemble MIMEO nell'aprire connessioni con nuovi ascoltatori.
Leggendo la tua breve biografia nel catalogo della Biennale, queste esperienze, che certamente risalgono a molti anni fa, non vengono però nemmeno menzionate, a favore dei soliti elenchi istituzionali di sedi, incarichi ed ensemble. Posso chiederti quanto di quelle esperienze sia ancora presente nel tuo approccio e nella tua poetica?
«Non sono stato coinvolto nella decisione di quali progetti e quali aree del mio lavoro sono inclusi nella biografia del catalogo, ma capisco il tuo punto di vista: progetti come Pluramon, che era un progetto electro post-rock, e MIMEO, un gruppo di improvvisazione elettronica, erano importanti e richiedevano tempo, hanno plasmato la mia prospettiva di compositore oggi e credo che comporrei in modo diverso se non ci fossi stato. Se dovessi provare a sintetizzare la loro importanza, questi progetti promuovono qualità immersive ed entropiche, che mi interessano ancora oggi».
Quando si parla del tuo lavoro, si sottolinea spesso lo stretto legame con la ricerca scientifica. Hai un metodo per collegare gli aspetti della ricerca con la pratica compositiva o dipende dal caso specifico?
«Un concetto con cui lavoro da un po' di tempo è la sonificazione. La sonificazione è l'uso di audio non parlato per trasmettere informazioni o percepire dati o modelli. La mia speranza è che attraverso il processo epistemico di conoscenza per e attraverso una composizione emerga un tipo diverso di composizione. In altre parole, questo metodo permette di ottenere nuove idee musicali guardando la composizione in parte da un'angolazione diversa. Inoltre, le aree da cui proviene la ricerca sono quelle che mi interessano».
A cosa stai lavorando attualmente e quali sono i tuoi prossimi progetti?
«Mentre ti rispondo sto ancora lavorando al pezzo Glockenbuch. Ma sto lavorando anche a un nuovo progetto con cantanti Maori, che sarà presentato in anteprima a febbraio a Dusseldorf».