Roscoe Mitchell, Bells From The South Side (ECM)
Quando arriva un nuovo disco di quel genio assoluto che è Roscoe Mitchell ed è pure un disco doppio, già sai che gran parte delle tue prossime settimane saranno piene. Piene di bellezza, di complessità, di visionarietà. In questo progetto Mitchell combina i suoi abituali trii in un colossale affresco in cui convergono sia i segmenti più astratti del suo mondo sonoro, sia gli stratificati echi percussivi dell’eredità dell’Art Ensemble. Non a caso si chiude tutto con “Odwalla”. Con lui artisti sensibilissimi come Craig Taborn, Tyshawn Sorey, William Winant, Hugh Ragin… Strepitoso.
Ben Allison, Layers Of The City (Sonic Camera Records)
Molto bello anche il nuovo lavoro a nome del contrabbassista Ben Allison. Alla guida dei suoi Think Free (Jeremy Pelt alla tromba , Steve Cardenas alla chitarra, Frank Kimbrough al piano e Allan Mednard alla batteria), Allison costruisce un fascinoso ritratto della “sua” New York, orientandosi con la scrittura ariosa e efficace che gli conosciamo e tracciando – per la prima volta usando anche lo strumento elettrico – coordinate su cui i solisti corrono con la complessa fluidità dei treni nella subway. Architettonico.
Dave Liebman/Joe Lovano, Compassion – The Music Of John Coltrane (Resonance Records)
Nel mese del cinquantesimo anniversario della morte di John Coltrane, la Resonance pubblica una registrazione che i sassofonisti Dave Liebman e Joe Lovano avevano fatto dieci anni fa per la BBC, dedicata alla musica del compianto collega. Con loro la solida ritmica formata da Phil Markowitz, Ron McClure e Billy Hart. Rileggendo pagine come “Locomotion”, “Olé”, “Equinox”, ma anche “Compassion”, da Meditations, il quintetto tributa a Coltrane un omaggio che va ben oltre la mera riproposizione dei celebri temi, per abbracciare piuttosto la vivacità della sua eredità strumentistica, di cui Liebman e Lovano sono tra le personalità più originali e influenti. Coltraniano.
Fabrizio Puglisi Guantanamo, Giallo Oro (Caligola Records)
Tra i dischi più belli del periodo va segnalato certamente quello che testimonia (finalmente!) il progetto Guantanamo del pianista Fabrizio Puglisi. Sestetto avant-latin di straordinaria intelligenza, il gruppo riesce a aprire il discorso ritmico afrocubano non solo verso le naturali radici africane, ma anche proiettandolo dentro un futuro visionario e distopico, in cui composizioni di Bud Powell o di Lennie Tristano si accendono di una luce quasi psichedelica e allucinata. Poliritmico.
Hear In Now, Not Living In Fear (International Anthem)
Un ottimo trio di energie e corde femminili, quello che da qualche anno unisce la contrabbassista Silvia Bolognesi con le colleghe chicagoane Mazz Swift al violino e Tomeka Reid al violoncello. Questo bellissimo disco raccoglie registrazioni di una manciata di anni fa, ma che mantengono urgente e vibrante un discorso fatto di accenti folk, brume cameristiche e accensioni più radicali, comunque collocato in un continuum che dalle stagioni più vibranti della New Thing conduce a una consapevolezza emotiva del tutto contemporanea. Spirituale.
AA.VV. – Jazz In Italian Cinema (LP Jazz On Film Records)
Una vera chicca che da fare girare sul piatto in queste sere d’estate è il vinile Jazz In Italian Cinema, che raccoglie alcuni classici momenti in cui il jazz e il cinema italiano si sono incontrati. Dal Piero Umiliani dei Soliti Ignoti al Gaslini di La Notte di Antonioni, passando per John Lewis a servizio di Eriprando Visconti per Una storia milanese o per il grande Piero Piccioni. Un bel saggio di Francesco Martinelli inquadra in modo stimolante la, ovviamente più articolata, vicenda. Cinematico.
Aruàn Ortiz, Cub(an)ism (Intakt)
Dopo l’eccellente lavoro in trio dello scorso anno, il pianista Aruàn Ortiz ci regala ora un altro notevole saggio del suo pianismo denso e pensoso, questa volta in solitudine. Cub(an)ism gioca sul rapporto tra Cuba e cubismo, decostruendo la spesso abusata eredità folklorica per ricomporla in organismi musicali lucidissimi e danzanti al tempo stesso. È uno sguardo che tende all’astrazione, quello di Ortiz, ma che avvolge grazie a una costruzione di cromie e linee che incanta. Magnetico.
Paolo Angeli, Talea (AnMa/Rer Records)
Altro musicista per il quale il rapporto con le radici, fortissime, si gioca attraverso una continua reinvenzione che comincia proprio dal gesto stesso, è Paolo Angeli con la sua chitarra sarda preparata. Quale migliore occasione per riannodare i fili della sua ormai lunga carriera in solo di questo doppio disco dal vivo registrato durante il tour mondiale tra il 2015 e il 2016? L’improvvisazione, la voce (emozionante), il contesto che plasma il fluire della musica, corde e vento, metallo e nuvole. Delizioso.
Jaco Pastorius, Truth, Liberty & Soul (Resonance)
Questo doppio cd testimonia la big band di Jaco Pastorius al top della sua popolarità, dal vivo a New York nel 1982. Al sestetto base (quello con Mintzer, Brecker, Molineaux, Alias e Erskine) si aggiungono la solita robusta sezione di fiati e l’armonica di Toots Thielemans come ospite. Tutti in fantastica forma, per una musica che ancora oggi, nonostante il sound complessivo possa sembrare un po’ invecchiato, colpisce per i suoi colori, la fantasia strutturale e il prorompere degli assoli. Storico.
JD Allen, Radio Flyer (Savant Records)
Sassofonista tenore di sensuale potenza, JD Allen innesta sul corpo del suo incisivo trio con Gregg August e Rudy Royston (basso e batteria rispettivamente), la chitarra di Liberty Ellman. Radio Flyer esplora le possibilità di espandere quella voce spontanea, che già aveva colpito gli ascoltatori nel precedente Americana, verso territori di più complessa ricchezza espressiva. Ellman, che è strumentista ellittico, aduso alle sfide formali, dona una camaleontica qualità aliena al tutto. Prezioso.
Enrico Merlin & Valerio Scrignoli, Maledetti [Area Music] (Musicamorfosi)
Originale progetto dei chitarristi Merlin e Scrignoli, dedicato alla musica degli Area. Un duo che evita saggiamente di “inseguire” gli originali, ma che cuce piuttosto insieme alcuni temi cruciali della band di Stratos, inserendovi altri materiali originali o meno. Ne esce un lavoro coeso e al tempo stesso molto vario, attraversato da una lucida qualità elettrica che fa baluginare stimolanti fantasmi delle urgenze di quegli anni. Impattante.
Gabriele Mitelli O.N.G., Crash (Parco della Musica)
Il suono graffiante delle chitarre (quelle di Enrico Terragnoli e Gabrio Baldacci) caratterizza anche il nuovo progetto del trombettista Gabriele Mitelli, un quartetto completato dalla batteria di Cristiano Calcagnile. Tre splendide suite dal piglio post-punk in cui convivono Sun Ra e i CSI, la dilatazione psichedelica e il riconoscersi istintivo dell’improvvisazione più ardita. Dai grumi di suono ogni tanto emerge un groove assassino, sull’asse Don Cherry-Mats Gustafsson. Massiccio.
Wynton Kelly Trio Wes Montgomery, Smokin’ In Seattle (Resonance Records)
Piacevolissima scoperta della Resonance, che pubblica un concerto inedito del trio del pianista Wynton Kelly (con Ron McClure e Jimmy Cobb), formazione cui si aggiunge in metà dei pezzi anche la chitarra di Wes Montgomery. Siamo nel 1966 a Seattle, pochi mesi dopo la registrazione di un “classico” dell’abbinata Kelly/Montgomery come Smokin’ At The Half Note: i musicisti suonano con la raffinata scioltezza e il piglio energetico che ben gli conosciamo. Un gran bell’ascoltare, non c’è che dire. Brillante.
Bobby Watson, Made In America (Smoke Sessions)
Gli appassionati del caro vecchio suono post-bop di matrice Jazz Messengers non si lasceranno sfuggire questo cinetico live dell’altista Bobby Watson, musicista che proprio in Italia negli anni Ottanta ottenne una forte popolarità. Le coordinate sono quelle che ci si aspetta, con l’inconfondibile suono sensuale e tagliente di Watson ad avvolgersi attorno a frasi contagiose per poi sciogliersi in veloci fraseggi. Con lui Stephen Scott al piano, Curtis Lundy al contrabbasso e Lewis Nash alla batteria. Soulful.
Jace Clayton/Dj Rupture, Remixing – Viaggi nella musica del XXI secolo (EDT)
Non può mancare anche la segnalazione di un libro. Un libro bellissimo, speciale, firmato da un musicista di grande intelligenza come DJ Rupture. In una decina di avvincenti capitoli il DJ e musicista elettronico ci racconta – in un felice mescolarsi di ricordi personali e acute riflessioni – le musiche di oggi e i loro percorsi. Percorsi che attraversano l’uso di Auto-Tune in Marocco, i campionamenti, le strategie di condivisione in rete e molto altro. Non fatevi ingannare dalla copertina, che rimanda (chissà perché?) a un immaginario da pasticche anni Novanta: questo è un libro di grande valore per tutte le categorie di lettori e un compendio eccellente (senza fronzoli né peli sulla lingua ogni tanto) sullo Zeitgeist dei suoni del nostro millennio (QUI un estratto). Splendido.